Londra Brexit, un passo avanti e due indietro. A dieci mesi dalla data ufficiale per l'uscita dall'Ue, il piano B di Theresa May per evitare il confine duro irlandese in mancanza di un accordo, ha creato nuove forti turbolenze nel governo, da sempre diviso tra Leavers e Remainers. Il backstop plan, diffuso a fine giornata dopo forti contrasti tra la stessa May e il negoziatore britannico David Davis, che ha perfino minacciato di dimettersi, prevede che in assenza di un'intesa il Regno Unito rimanga nell'Unione doganale europea per evitare la creazione di un nuovo confine fisico tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord. Questo, in attesa che si trovi una soluzione tra le due parti, cosa che secondo la May dovrebbe avverarsi entro il 2021.
È stato proprio il limite temporale a scatenare le nuove polemiche interne, dato che all'inizio il primo ministro si era rifiutata di inserire la data nel documento, ma per Davis e altri ministri si trattava di un dettaglio fondamentale per far capire a Bruxelles che la Gran Bretagna non vuole rimanere per sempre legata alla «matrigna» Europa. Sebbene costretta a cedere sulla carta, già ieri May, in Canada per il G7, ai giornalisti ha confermato di non poter garantire «che si vada oltre quella data». E dunque il dubbio che il governo britannico non sappia veramente come tirarsi fuori dall'impasse, sta venendo a molti, vista la totale mancanza di passi avanti fatti in questi mesi. May continua a procrastinare e l'Unione non apprezza. «Si era parlato di allineamento doganale solo per il L'Irlanda del Nord ha dichiarato ieri il capo dei negoziatori europei Michel Barnier non di estendere la soluzione a tutto il Regno Unito. Ho ricevuto la proposta e non la rifiutiamo a priori, ma ci sono molte questioni rimaste aperte». Eppoi ancora: «Gli inglesi accusano l'Ue per le conseguenze della Brexit, ma non ci faremo intimidire da queste forme di biasimo». Il tono di Barnier basterebbe a far capire quanto i negoziati siano in alto mare, ma l'esistenza stessa e la pubblicazione del backstop plan del governo, rafforza ancor di più l'ipotesi che ormai non sia possibile raggiungere un accordo nei tempi previsti.
Peraltro neppure all'interno dell'esecutivo il fronte è unito. Ieri il portale Buzzfeed ha riportato il contenuto di una conversazione privata, durante una cena, tra il ministro degli Esteri Boris Johnson e alcuni membri del suo partito in cui Johnson critica indirettamente May dicendo: «Se a negoziare ci fosse Trump avremmo altri risultati». Ma ancor più inquietante da parte di uno dei maggiori sostenitori del divorzio dall'Europa è l'ammissione di Johnson che «la Brexit potrebbe portarci al tracollo e potremmo non ottenere quello che volevamo». «Non voglio che nessuno si faccia prendere dal panico ha aggiunto il ministro niente panico e alla fine andrà tutto bene».
A pensarla come Johnson non sono però in molti, soprattutto dopo le ultime notizie apparse sui giornali che prevedevano uno scenario da incubo, con l'economia in picchiata a causa dell'uscita dall'Europa. A salvare il Paese dalla fine annunciata si candida così anche il miliardario George Soros, che si è detto pronto a finanziare la campagna per un secondo referendum nella speranza di rovesciare il risultato del primo.
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