Politica

Brexit, scontro aperto tra May e Parlamento La Ue pronta al no deal

La premier: «Non c'è ancora maggioranza» E l'Aula vuole prendere in mano il timone

Gaia Cesare

Su Downing Street sventola bandiera bianca ma Theresa May non ha intenzione di togliersi l'elmetto. In attesa che i Tory si decidano a cacciarla (il Gabinetto di crisi ha rinviato il regicidio), la premier sembra pronta ad aprire uno scontro costituzionale con il Parlamento, che a tarda sera, dopo l'ennesima maratona a cui ormai ci ha abituato questa febbre da Brexit, ha votato per prendere in mano le redini del divorzio. Fatti più in là, è la richiesta di Westminster di fronte all'incapacità della premier di trovare una maggioranza. La Camera dei Comuni tenta la spallata. Il Parlamento vuole provare da domani a forzare la mano del governo con «una serie di voti indicativi», proponendo «varie opzioni per la Brexit». La decisione è stata affidata a un voto in nottata, attraverso l'emendamento Letwin (dal nome dell'ex ministro Tory), uno dei tre ammessi dallo Speaker John Bercow: una proposta trasversale per sondare strade alternative in Aula, firmata anche dal Conservatore Dominic Grieve e dal laburista Hilary Benn.

L'indirizzo della Camera è arrivato dopo che la premier ha dovuto arrendersi al No dei falchi della Brexit e al No dei deputati nord-irlandesi ed è stata costretta ad annunciare «con grande rammarico» alla Camera dei Comuni che «non c'è ancora abbastanza sostegno» in Parlamento per il piano concordato con la Ue e l'accordo non finirà ai voti per la terza volta oggi: mancano i numeri.

Ma a Londra si rischia ancora la paralisi, perché se la leader di governo spera ancora di far passare il suo deal magari giovedì, il Parlamento non ha ancora saputo indicare un piano alternativo chiaro. E quando lo farà non è detto che le strade proposte siano percorribili.

Che succede adesso? Le condizioni poste dall'Unione europea sono state chiare all'ultimo Consiglio Ue: senza il via libera della Camera entro la fine di questa settimana, cioè entro il 29 marzo (data fissata all'inizio per il divorzio), il Regno Unito dovrà lasciare la Ue il 12 aprile (data che slitterebbe invece al 22 maggio con l'ok dei deputati inglesi). Fiato sospeso fino a venerdì dunque, ma le chance che l'intesa passi sono pari a uno zero virgola, anche dopo la trovata della premier di sottoporre ai deputati due voti, separando la dichiarazione politica dall'intesa tout court, una proposta avanzata al leader dell'opposizione laburista Jeremy Corbyn, che l'ha immediatamente respinta. A 17 giorni dal 12 aprile, Londra non sembra affatto preparata all'addio ma «l'uscita senza accordo del Regno Unito è sempre più probabile», come ha ricordato la Commissione europea che ha annunciato di aver completato le procedure per il no deal, cioè una hard Brexiy.

Eppure Maybot, la leader che come un robot tira dritta per la sua strada mentre intorno è lo sfacelo politico, non intende arrendersi al passaggio di poteri al Parlamento. E fa sapere ai deputati di non sentirsi obbligata a rispettare la loro volontà, che da ieri sera e ancora domani la Camera continuerà a esprimere su una serie di emendamenti non vincolanti. «Così si ribalterebbe l'equilibro delle nostre istituzioni democratiche», ha detto la premier, che ha escluso di voler lasciare ai deputati carta bianca sul futuro della trattativa.

«L'imbarazzo nazionale», come lo ha definito Corbyn, va avanti. Anzi peggiora. May in Parlamento ha detto tutto e il suo contrario: non ha escluso il no deal ma ha anche spiegato che non accadrà fino a che l'Aula non darà il via libera e ha anche ricordato che se il governo dovesse essere costretto a chiedere un'ulteriore proroga dell'articolo 50, il Regno Unito finirebbe per partecipare inevitabilmente alle elezioni europee di maggio.

L'impressione è che la premier non intenda uscire dall'aut aut: «Votate il mio accordo oppure sarà una slow Brexit», un'uscita lenta, termine che da qualche ora ha cominciato a decollare.

E che è ancora lo spauracchio per convincere i duri della Brexit a cedere.

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