Gaia Cesare
Più che per salvare il Paese, per salvare se stesso e il partito che gli sta franando sotto i piedi. Dopo aver temporeggiato, nicchiato e dopo aver deluso molti dei suoi elettori e deputati europeisti, il leader della sinistra inglese Jeremy Corbyn ha rotto gli indugi e annunciato durante una riunione con i parlamentari del Labour che appoggerà un secondo referendum «per prevenire» quella che chiama «una dannosa Brexit conservatrice». Finora il Partito laburista non aveva escluso la possibilità di un secondo voto popolare, ma non aveva spinto per il People's Vote e l'aveva sostanzialmente derubricato a una fra le tante opzioni sul tavolo, perché il primo obiettivo del Labour sono state finora le elezioni anticipate. Sogni di gloria, anche a guardare i sondaggi, che nonostante il caos vedono ancora i Conservatori avanti. Sogni di gloria che si sono scontrati nei giorni scorsi con la peggiore crisi per il Labour da quarant'anni a questa parte, l'addio cioè di otto deputati (a cui si sono aggiunti altri tre conservatori europeisti) che hanno dato vita al «Gruppo degli Indipendenti» in Parlamento, contestando la virata verso l'estrema sinistra e l'antisemitismo istituzionalizzato del partito ma soprattutto la linea inaccettabile sulla Brexit, che secondo gli scissionisti va combattuta a tutti i costi. Ecco dunque spiegata la svolta. Una toppa al buco che può aprire una voragine nel Partito laburista se altre defezioni, come sembra, seguiranno (anche fra i Conservatori).
Cosa intende fare Corbyn? L'opzione del secondo referendum in realtà non è poi così vicina, perché la politica sa che sarebbe in fondo l'inizio di un nuovo incubo. «Metteremo sul piatto un emendamento questa settimana, in Parlamento - spiega Corbyn - che fissi il piano laburista: un'unione doganale completa, allineamento al mercato unico» ma soprattutto «appoggeremo l'emendamento Cooper-Letwin che esclude uno scenario di uscita senza accordo. Faremo di tutto per prevenire il no-deal». «Ecco perché - aggiunge Corbyn - proporremo o sosterremo un emendamento a favore di un voto popolare». Il referendum bis viene sventolato come arma ultima per scongiurare l'uscita senza accordo, a cui potrebbero ribellarsi anche alcuni ministri del governo May.
La partita si gioca mercoledì a Westminster. E l'emendamento in questione (dalla laburista Cooper e dal Tory Letwin) punta a far slittare la Brexit se la premier Theresa May non troverà una maggioranza entro il 13 marzo sulla sua intesa. Per martedì 12 è stato fissato il «voto significativo», quando mancheranno 17 giorni alla data fissata per l'addio. Insomma in Parlamento si lavora per trovare una maggioranza a favore dell'estensione dell'articolo 50, cioè per ritardare la Brexit. E proprio ieri dall'Unione europea è arrivata l'apertura ufficiale, nella stessa direzione, di Donald Tusk. Il presidente del Consiglio europeo si dice pienamente favorevole a uno slittamento dell'uscita: «Sarebbe una soluzione razionale». La ragione è semplice: «Mi pare assolutamente chiaro che non c'è una maggioranza alla Camera per approvare un accordo e la Gran Bretagna si troverà di fronte all'alternativa: una Brexit caotica o un'estensione».
May è convinta che l'uscita ci sarà, il 29 marzo, con un accordo al quale continua a lavorare, nella speranza che di fronte allo spauracchio del no-deal, il Parlamento voti il suo deal. Ma ormai la sensazione è che, semmai un'intesa a Westminster si troverà, sarà proprio sul rinvio della Brexit. A meno che la mossa di Corbyn non ricompatti improvvisamente la maggioranza di Lady May.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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