Basta litigi e negoziati: si chiuda oggi oppure addio firma all'accordo sulla Brexit. Alla fine, mentre Theresa May e Jean-Claude Juncker si incontrano a Bruxelles e riferiscono di «progressi molto buoni» ma di «un lavoro che continua» - arriva Angela Merkel a dettare l'ultimatum ai 27 Stati membri, intimandoli di smetterla con le contese e le trattative e di tirare dritti verso l'obiettivo. «O la dichiarazione politica finale si firma giovedì (oggi, ndr) - ha fatto sapere la Cancelliera tramite il suo ambasciatore a Bruxelles, alla vigilia dell'incontro May-Juncker - oppure la leader tedesca non si presenterà al Consiglio europeo straordinario del 25 novembre», quando Regno Unito e Unione Europea saranno chiamati a mettere la firma sullo storico accordo di uscita. L'intesa si compone di due parti, l'accordo di divorzio (costato un anno e mezzo di trattative) e la dichiarazione politica finale, che fissa condizioni e limiti delle relazioni future tra Londra e Bruxelles. Quest'ultima avrebbe dovuto essere la parte più facile della trattativa e ha invece creato ulteriori ostacoli.
Sono tre le questioni contese. Numero uno: la pesca, sulla quale si sono incaponiti Francia, Danimarca, Paesi Bassi e Belgio, pretendendo maggiori rassicurazioni sull'accesso alle acque britanniche come condizione per un futuro accordo commerciale. Numero due: il nodo Gibilterra, sul quale è intervenuto il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, che ha minacciato il suo No all'accordo, pretendendo fosse chiaro che «quanto negoziato tra Londra e Bruxelles non riguarda Gibilterra». Numero tre: la richiesta dei 27 di esplicitare maggiori dettagli sulle garanzie per una futura competizione equa ed evitare che il Regno Unito ora possa strappare un vantaggio in termini di tassazione, aiuti di Stato e ambiente. Perciò è arrivato il richiamo di Angela Merkel, sintetizzato così da un diplomatico berlinese: «La posizione tedesca è che sono Barnier e Juncker a occuparsi delle trattative, non gli Stati membri. Perciò tutto va risolto prima (di oggi, ndr). Non vogliono che nessuna questione aperta arrivi al Consiglio europeo» di domenica.
Alla fine la quadra sembra si sia trovata almeno su Gibilterra: Londra e Madrid avrebbero raggiunto un pre-accordo bilaterale, formato da quattro memorandum d'intesa (su tabacco, lavoratori transfrontalieri, ambiente e cooperazione di polizia e doganale) e infine un trattato fiscale, con cui Gibilterra si impegna a limitare la concorrenza fiscale che genera in Spagna.
Frasi di circostanza ma bocche sostanzialmente cucite sull'incontro tra la premier May e il presidente della Commissione europea Juncker, durante il quale sono stati fatti «progressi molto buoni» - ha dichiarato un portavoce dell'esecutivo comunitario - precisando tuttavia che «il lavoro continua». L'incontro potrebbe essere stato segnato dal tentativo inglese di ottenere concessioni dell'ultimo minuto sull'accordo di uscita e la possibilità di introdurre «soluzioni tecnologiche» per evitare il ritorno della frontiera tra le due parti dell'Irlanda. Alcuni ministri dell'esecutivo inglese hanno avvertito May che se non strapperà nuove concessioni, la sconfitta in Parlamento sarà garantita.
Dal canto suo, la premier tira dritta per la sua strada, forte del tempo che scorre e dei sondaggi che la vedono avanzare di 13 punti percentuali tra gli inglesi che vogliono resti in sella (passati in una settimana dal 33% al 46% (YouGov per il Times). «L'alternativa alla mia intesa è il caos», ha detto alla Camera dei Comuni prima di volare a Bruxelles. Ed è la linea che intende tenere per convincere la maggioranza ad appoggiare il «suo» accordo sulla Brexit.
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