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Bruxelles boccia il governo: "La manovra è da correggere"

Pil giù di un altro 0,1% e i burocrati ci mettono nel mirino per il fiscal compact. Anche la Germania boccheggia: recessione vicina

Bruxelles boccia il governo: "La manovra è da correggere"

Se Berlino si è salvata per miracolo, Roma è ancora in bilico. Fonti Ue avvertono Palazzo Chigi che la Commissione Europea potrebbe contestare al governo la violazione della regola sulla riduzione del debito prevista dal Fiscal Compact. Intanto, con una sobrietà da neorealismo rosselliniano, la Germania fa sapere di essere ancora viva. Evitata l'onta della recessione tecnica, grazie alla raddrizzatina data al Pil nel terzo trimestre, cresciuto di un asfittico 0,1% dopo la contrazione subita tra aprile e giugno dello 0,1%. Ma la locomotiva d'Europa è stanca, fiacca come il suo ritmo di sviluppo, perfino più basso di quello dell'intera Eurozona (+0,2%) che sconta la zavorra di Cipro (-0,4%) e dell'Italia (-0,1%), giunta al tredicesimo trimestre consecutivo di contrazione economica. Il livello del Pil tricolore è al nuovo minimo da 14 anni e mezzo. Percentuali nel complesso risicate, perfetta cartina di tornasole del pantano semi-recessivo e deflazionistico in cui si è cacciata Eurolandia, nonostante le misure finora approntate dalla Bce. Se molti imputano la scarsa crescita a un processo di riforme che stenta a decollare, è anche vero che all'appello continuano a mancare gli investimenti. Palazzo Chigi fa notare che il debito alto «non è una novità: che la percentuale Pil-debito aumenti con una crescita negativa è una banalità matematica».

La Germania è stata più volte criticata negli ultimi mesi per non voler recitare un ruolo di traino della ripresa dell'intera Eurozona, evitando di dare impulso alla domanda interna attraverso una politica salariale più espansiva e un impulso maggiore agli investimenti pubblici. Malgrado l'opera di moral suasion esercitata da Usa, Fmi, Ocse e Commissione Ue, l'economia tedesca si poggia ancora sulle spalle delle esportazioni e mantiene oltre i limiti di guardia il proprio surplus commerciale. Le cose, in parte, sono un po' migliorate nel terzo trimestre, periodo in cui si è vista una piccola spinta dei consumi privati. Poca cosa ancora, comunque, rispetto al contributo formidabile offerto al Pil dall'export. La verità è che la Germania segna il passo da tempo, visto che dall'inizio del 2013 è cresciuta in media dello 0,2% ogni trimestre. Ecco forse il motivo per cui Berlino intende investire, a partire dal 2016, 10 miliardi in più in tre anni. Un gesto di (apparente) buona volontà accolto con freddezza dalla Confindustria tedesca (Bdi), convinta che serva «di più per lanciare davvero un'offensiva sul fronte degli investimenti». I conti non tornano neppure per l'istituto di ricerca economica Diw, secondo il quale occorrerebbero «almeno 10 miliardi in più all'anno per fronteggiare il deperimento delle strutture civili “fatiscenti” e potenziare le infrastrutture mentre il governo prevede di spendere 1,25 miliardi». Se fino a qualche tempo fa la riluttanza a pigiare sul pedale degli investimenti poteva essere giustificata con tassi di crescita soddisfacenti, ora l'alibi non regge più. Per la prima volta, dal 1969, Berlino ha approvato ieri il pareggio di bilancio 2015, ma la banca pubblica di investimento Kfw ha indicato che il governo potrebbe investire circa 100 miliardi in più fino al 2018 senza violare la regola del «freno al debito».

Anche se la Bdi storce il naso davanti a quei 10 miliardi, non c'è però da parte degli industriali tedeschi alcuna apertura alla flessibilità di bilancio così chiesta da Italia e Francia.

Il presidente della Bdi, Ulrich Grillo, è stato chiaro: «Non possiamo risolvere i problemi dei nostri partner europei», con i soli investimenti tedeschi.

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