I piedi di Carlo Calenda avevano appena toccato il suolo di Bruxelles e ora i funzionari italiani dovranno salutare il secondo rappresentante permanente in pochi mesi. Brussels Playbook, autorevole newsletter di Politico Europe curata da Ryan Heath, ha ironizzato non poco sul dietrofront del governo italiano che ha rispedito a casa il plenipotenziario che avrebbe dovuto sopperire alla mancanza di «interlocutori» più volte lamentata dal presidente del Consiglio Ue, Jean-Claude Juncker.
«Il trasloco è stata un'assoluta sorpresa per le mie fonti diplomatiche italiane, ma la scelta di Renzi potrebbe non essere stata del tutto spontanea», scrive Heath ricordando che «Calenda compiva pellegrinaggi settimanali a Roma: un ottimo modo per costruirsi un rapporto personale con Renzi». Insomma, una delle penne più acuminate di Bruxelles ha tacciato il neo ministro dello Sviluppo economico di aver pensato alla propria carriera più che alle istituzioni comunitarie. È vero, l'ambasciatore tornava una volta alla settimana nella Capitale, ma per relazionare il presidente del Consiglio e il suo entourage sullo stato dell'arte. Calenda ha lavorato sul migration compact, sul documento presentato da Padoan per una maggiore flessibilità nel computo del deficit/Pil e soprattutto della produttività (il famigerato output gap che Bruxelles usa per imporci di volta in volta nuove tasse). Ha anche anticipato alla Commissione Ue la posizione italiana sulle emissioni inquinanti e sui certificati verdi. E poi basta. O, come ha commentato un lettore di Politico, «veni, non vici, tornai».
Il ruolo del ministro avrebbe dovuto essere uguale a quello svolto in Confindustria o in Ntv: lavorare per creare un clima favorevole nei confronti degli interessi italiani in Europa ove le nostre istanze sono spesso trascurate. «Qui ci prendono per matti», afferma l'europarlamentare di Forza Italia, Fulvio Martusciello, commentando la vicenda. «La nomina - aggiunge - sta provocando sconcerto e generando i soliti sorrisini verso l'Italietta che fa prevalere gli interessi politici locali a quelli europei». Insomma, non è la mossa più felice visto che Calenda doveva sopperire proprio all'estromissione di funzionari italiani dal gabinetto Juncker e alla carenza di connazionali di peso nelle direzioni generali.
Ecco, quindi, che per la successione al ruolo di rappresentante permanente si punta su diplomatici di peso, soprattutto, «allineati». In pole position ci sono due donne. La prima Maria Angela Zappia, consigliere diplomatico del premier ed ex rappresentante permanente presso il Consiglio Atlantico. La seconda è Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina e già capo di gabinetto di Gentiloni. In evidenza anche il bravo ambasciatore al Cairo, richiamato in Italia per il caso Regeni, Maurizio Massari. Seguono altre feluche con un'esperienza consolidata a Bruxelles come Raffaele Trombetta (Brasile), Luca Giansanti (Esteri) e Vincenzo Grassi (Belgio).
Va detto, però, che il tentativo di riappacificarsi con l'alta burocrazia non è il motivo principale della nomina di Calenda. A lui, uomo-macchina del ministero di via Veneto, toccherà occuparsi di temi molto cari al premier come banda larga, energia e ddl Concorrenza.
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