All'ora di pranzo si fa vedere all'hotel Forum di Roma in compagnia dei suoi due «padri» spirituali: Antonio Di Pietro, che lo accompagna, e Beppe Grillo, che li aspetta all'interno. Poi il senatore Elio Lannutti comunica la sua volontà di resistere: «Non rinuncio alla candidatura». Resta in corsa per la presidenza della commissione d'inchiesta sulle Banche: un incarico delicatissimo, ancora più complicato nel momento in cui il governo è costretto a correre in soccorso della Popolare di Bari.
Sembra uno scherzo di cattivo gusto, ma il figlio del senatore, Alessio, lavora da 4 anni proprio alla Popolare, precisamente all'ufficio Enti nella Capitale. «È solo un impiegato», minimizza lui, cercando di superare l'imbarazzo.
Non è la prima scivolata del parlamentare approdato ai Cinque stelle dopo aver militato con l'ex pm nell'Italia dei valori. Un percorso zeppo di denunce, invettive, tintinnare di manette. E però, si sa, gli standard richiesti per gli altri diventano più elastici quando vengono applicati in casa propria.
Cosi, Lannutti respinge anche l'altro capitolo dolente della sua biografia di guerriero: la condivisione di un post antisemita, legato al famigerato Protocollo dei Savi di Sion. Qualcosa di più di un infortunio, come può capitare a chiunque sia esposto freneticamente sulla prima linea mediatica. Ma lui non arrossisce: «È stato un errore. Io fra l'altro vengo dal Pci». Completando cosi la sua itinerante biografia. Ma questa volta è difficile che il Pd chini la testa e accetti un personaggio cosi controverso. «Sicuramente - attacca su Facebook il deputato Emanuele Fiano - non avrà i nostri voti. Uno degli estimatori dei Protocolli di Sion, un falso antisemita diffuso dalla polizia zarista all'inizio del Novecento, fu nella Germania del Terzo Reich Adolf Hitler che citò quel documento nel Mein Kampf». Il testo base del Fuhrer.
Insomma, Lannutti si è cacciato in un bel guaio. E tutte le precisazioni successive rischiano di aggravare quell'uscita fuori posto. Ora, come se non bastasse, ecco emergere il ruolo del figlio: Alessio ovviamente non ha alcuna colpa, ci mancherebbe. Ma mettere il genitore alla testa di un organismo che deve scavare sui disastri bancari mentre la Popolare è sulle prime pagine sembra quasi una provocazione. Un passo falso, nelle ore drammatiche in cui il management viene esautorato e affiorano buchi, scandali, una contabilità più che ballerina. «Chiunque - insiste lui - continuerà ad alimentare questa campagna, ne risponderà nelle sedi giudiziarie, non permetto a nessuno di gettare fango sul mio rigore etico».
Cosi Lannutti si imbullona alla sedia ancora non sua e i Cinque stelle puntellano i suoi sforzi: «Lannutti è la persona con gli skills maggiormente adeguati per quel ruolo, quindi noi insisteremo», comunica il senatore Daniele Pesco, Presidente della commissione Bilancio del Senato. Una difesa d'ufficio o una dichiarazione di guerra? Il Pd (pur con qualche eccezione) e Italia viva, per una volta d'accordo, minacciano il più fragoroso dei no. «Dovrebbe essere Lannutti a ritirarsi dalla candidatura - nota Alessia Morani, sottosegretario allo Sviluppo economico - Mi auguro che abbia la sensibilità di togliere la maggioranza da questo grande, gigantesco imbarazzo». Sulla stessa linea Eugenio Comincini, approdato alla nuova formazione creata da Matteo Renzi: «Per Lannutti se Pd e Italia viva non lo voteranno, saranno loro a spaccare la maggioranza.
Gli ricordo allora le regole del gioco: la maggioranza si riunisce, trova un accordo e su quello ci si impegna. Non è che i Cinque stelle decidono e gli altri si adeguano».Dunque, l'ostacolo pare insormontabile, ma Lannutti non lascia la trincea. Almeno per ora.
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