"Una buona notizia per l'immunità. Adesso avanti con i test sul siero"

Lo scienziato: "È ancora presto per avere certezze, ma vuole dire che siamo di fronte a uno strumento di diagnosi affidabile"

"Una buona notizia per l'immunità. Adesso avanti con i test sul siero"

Roberto Burioni ha una qualità: sa spiegare in parole semplici anche gli studi scientifici più tecnici. E sentire da lui che la ricerca del virologo Guido Silvestri, con cui ha fondato il Patto Trasversale della Scienza, è «un'ottima base su cui lavorare» è rincuorante.

Burioni, significa che chi è guarito dal Covid non si ammalerà nuovamente?

«Piano, è presto per dirlo».

Però lei su Twitter ha parlato di «una bella notizia».

«Lo è. È una notizia ottima. Lo studio ci dice che tutti i pazienti presi in analisi sviluppano anticorpi. Tutti. Prima non lo sapevamo. A livello scientifico, intendo».

E questo non è sufficiente a dire che non ci si può ammalare due volte?

«Non ancora. Ma è sufficiente a dire che possiamo usare la sierologia come strumento valido per capire chi ha avuto la malattia. Vuol dire che siamo di fronte a un tipo di diagnosi affidabile, promette bene per l'immunità».

Quale sarà il passo successivo a questo studio?

«Ora bisogna capire che tipo di anticorpi vengono sviluppati. Per farla semplice, dobbiamo capire se gli anticorpi post Covid sono come quelli del morbillo, e quindi ci rendono immuni dalla malattia, o se sono come quelli dell'epatite C, cioè dicono che abbiamo incontrato il virus ma non ci proteggono. Se gli anticorpi fossero proteggenti, sarebbe un bene».

Secondo lei esiste questa possibilità?

«Tutti i virus respiratori generano anticorpi che danno un certo grado di protezione. È da capire se anche il coronavirus si comporterà così. Teniamo presente che finora l'unico modo per studiare questo virus, di cui sappiamo ancora poco, è stato osservare i guariti e capire se si reinfettano».

I test sugli anticorpi serviranno a dare la patente di immunità?

«Non ancora, ma ci danno la base per studiare se è possibile farlo».

Dagli anticorpi arriva anche la terapia con il plasma dei guariti. Che ne pensa?

«La terapia con siero (o plasma) iperimmune non è cosa nuova, il primo premio Nobel andò a Von Behring nel 1901 per questa terapia, usata anche nel 1918 per la spagnola. La novità grossa ci sarà quando dati solidi diranno che funziona anche con Covid. Per ora sappiamo di buoni risultati a livello clinico».

I test sierologici aiuteranno a impostare la fase 2?

«Aiuteranno a scovare gli asintomatici, che sono tantissimi e molto contagiosi. In Lombardia si è già cominciato a fare le analisi. Questo deve portarci a rivedere le nostre strategie di contenimento dell'infezione».

Nei giorni scorsi lei ha parlato di un modello coreano. Intende quello?

«Dall'analisi della Corea del Sud emerge l'assoluta necessità delle 'dovute precauzioni': distanza, mascherina e igiene delle mani e non distanza o mascherina o igiene delle mani. Altrimenti, gli uffici possono essere bombe infettive pronte a esplodere».

Dal suo collega Silvestri arriva anche un'altra «megapillola» di ottimismo. Riguarda il Remdesivir.

«Il farmaco funziona. I risultati dello studio, su 1.

090 pazienti, dicono che il Remdesivir ha ridotto in modo statisticamente significativo il tempo medio di guarigione (definita come dimissioni dall'ospedale e ritorno alle normali attività) da 15 giorni a 11 giorni. E ridotto la mortalità da 11,6% a 8%».

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