Politica

Il buonsenso sta in periferia

Quandoil segretario del Pci Enrico Berlinguer brandiva demagogicamente la questione morale e i diritti dei lavoratori contro Bettino Craxi, il sindaco comunista Ugo Vetere governava serenamente Roma assieme ai socialisti craxiani

Il buonsenso sta in periferia

Quando, nei primi anni Ottanta a Montecitorio il segretario del Pci Enrico Berlinguer brandiva demagogicamente la questione morale e i diritti dei lavoratori contro il segretario del Psi Bettino Craxi, in Campidoglio il sindaco comunista Ugo Vetere governava serenamente Roma assieme ai socialisti craxiani. Montecitorio e il Campidoglio sono separati da appena un chilometro, eppure sembravano rispondere a logiche politiche sideralmente lontane.

Non fu un caso raro, è stata ed è una regola: mentre i leader politici nazionali tendono spesso a connotarsi con posizioni demagogiche e sono inclini all'antagonismo, gli amministratori locali tendono alla concretezza e risultano propensi alla mediazione.

Era vero negli anni delle ideologie, è ancor più vero in epoca post ideologica. Un'epoca in cui la fluidità dell'elettorato e l'abuso dei social incoraggiano i leader più spregiudicati a cavalcare ogni onda protestataria, a garantire ogni istanza sociale, a rassicurare incuranti delle contraddizioni ogni tipo di elettorato fino a, fatalmente, avvitarsi su se stessi conclamando di conseguenza la propria impotenza politica. Un errore che, essendo «condannati» a risolvere tempestivamente problemi concreti, sindaci e presidenti di regione tendenzialmente non corrono.

Capita, così, piuttosto spesso che le velleità dei leader nazionali vengano relativizzare dal sindaci e dai governatori dei loro stessi partiti. È accaduto a Nicola Zingaretti quando ebbe la geniale idea (idea così geniale da essere poi replicata da Enrico Letta) di caratterizzare l'azione del Pd non sulle questioni economiche, ma sui diritti civili. «Lo ius soli è importante, ma le priorità sono altre», lo rintuzzò il presidente dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini.

Accade oggi a Matteo Salvini, le cui posizioni «ni vax» e «no green pass» sono state prontamente mitigate dai governatori del Nord Zaia, Fontana e Fedriga spostando l'attenzione dal no al green pass al sì ai tamponi. «Noi da governatori abbiamo tutti seguito l'unica strada percorribile», ha detto il presidente del Veneto a proposito del certificato vaccinale, implicitamente imputando a Salvini la più terribile delle colpe per un politico: il velleitarismo.

Sarebbe, perciò, opportuno che i leader nazionali ascoltassero di più i loro amministratori locali e regionali.

Lo dice il buonsenso e lo dimostra la parabola del Movimento 5stelle, che non avendo amministratori degni di questo nome che ne riconducessero i vertici alla realtà ha dovuto dimezzare i propri consensi prima di capire che quella demagogia che in apparenza gli giovava era in realtà il presupposto della propria sconfitta.

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