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Burocrazia, cavilli, scadenze: ecco le trappole del decreto

Escluse dai prestiti 271 mila imprese in crisi, istruttorie per le altre. Rinvii delle tasse, un rebus: meglio pagare

Burocrazia, cavilli, scadenze: ecco le trappole del decreto

Aziende che erano in crisi, o quasi, nel 2019 escluse dai prestiti, procedure troppo complesse sui rinvii fiscali, soglie discriminatorie sul credito e, più in generale, tempi di attuazione incerti. Con il rischio che una macchina ancora non rodata, ad esempio quella della Sace - società pubblica di servizi assicurativi che dovrà farsi carico delle garanzie sui 400 miliardi di prestiti - vada in tilt. Un po' come è successo con l'Inps alle prese con il bonus da 600 euro.

Il decreto imprese non è ancora noto, il testo definitivo non è pronto. E già questo ieri ha indispettito le categorie interessate. Quello che appare chiaro è che alcune delle richieste che venivano dal mondo dell'economia e dalle opposizioni non sono state accolte.

Senza garanzie sui prestiti al 100%, si escludono ad esempio tutte le «imprese in difficoltà», secondo la normativa europea. E questo era un requisito noto, richiesto da Bruxelles. Ma nelle bozze si sbarra la strada anche a società a insolvenza probabile presenti al 29 febbraio 2020 «tra le esposizioni deteriorate della banca».

Sono quindi contribuenti che si sono trovati in difficoltà, anche minori, nel periodo immediatamente precedente alla pandemia. Tempi comunque di crisi. Tipologia di imprese che il governo, di fatto, condanna a morte. Quando la garanzia statale è sotto il 100%, peraltro, scattano le normali istruttorie per la parte a carico della banche per controllare i criteri di eleggibilità. Possibile quindi un'ulteriore selezione.

Alla fine, secondo un calcolo fatto dall'agenzia Adnkronos, potrebbero essere escluse dall'operazione da 400 miliardi, 163.129 aziende e 107.978 famiglie produttrici, quindi 271.107 società su 4 milioni e 398mila.

Ma dagli addetti al settore arrivano critiche all'impostazione di fondo. Il decreto liquidità servirà solo a «una piccola platea di imprenditori, quelli decisi a chiedere prestiti sotto i 25mila euro, ma per tutti gli altri permangono i problemi», denuncia Fipe Confcommercio. «Chi chiederà cifre superiori ai 25mila euro deve fare diversi passaggi e rischia di dover aspettare ancora».

Alla schiera di chi segnala rischi sui tempi si aggiungono i leader del mondo cooperativo Mauro Lusetti e Maurizio Gardini: «È indispensabile garantire che i tempi di istruttoria delle banche siano compatibili con l'emergenza».

Abi, l'associazione delle banche e Sace hanno già iniziato gli incontri per snellire le procedure (preoccupazione forte anche dentro la maggioranza). Ma alcune delle richieste provenienti proprio dal mondo bancario, che avrebbero contribuito a facilitare le procedure, non sono state ascoltate. Ad esempio fare chiarezza su eventuali responsabilità in caso di fallimenti delle aziende destinatarie dei prestiti. Facile immaginare che ora gli «esami» delle banche saranno più rigorosi.

I rinvii dei pagamenti fiscali erano già stati oggetto di critiche. Solo due mesi di slittamento per rate e adempimenti (peraltro solo per Iva e contributi) a fronte di un blocco delle attività economiche che avrà effetti duraturi.

Il decreto «invece di semplificare norme e procedure, come sarebbe necessario in un periodo di assoluta emergenza come quello attuale, finisce per complicarle ulteriormente e ingiustificatamente», protesta il presidente del Consiglio dei commercialisti Massimo Miani. Il riferimento è ai requisiti complessissimi per rinviare i versamenti di aprile e maggio: «Individuazione dei ricavi/compensi in modo distinto per i mesi di marzo e aprile 2020 e l'esigenza di raffrontare gli importi così determinati con quelli relativi ai corrispondenti mesi del 2019».

Forse in questo ginepraio di procedure c'è lo zampino di chi deve garantire liquidità allo Stato, il ministero dell'Economia.

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