Giulio Sapelli, cosa pensa dell'inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega?
«Va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all'Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica».
Continui.
«Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rakete. C'è un concerto internazionale e nazionale per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila».
E in Italia?
«La7, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica».
Chi è stato secondo lei a raccogliere la registrazione al Metropol?
«Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente l'odore del sangue dell'animale ferito. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei».
Le procure sono sempre al lavoro. Differenze tra ieri e oggi?
«Nel '92-94 si trattò di un di un grande disegno internazionale con a capo la centrale del mercatismo mondiale che era Londra. Adesso la disgregazione dello Stato italiano ha colpito anche la magistratura, come si vede dalla crisi del Csm».
Questo cosa comporta?
«Una lotta senza esclusione di colpi. L'Ue sta implodendo, tutto è molto più complicato da gestire anche per loro».
Ci vuole dire con più precisione chi o che cosa si tratta di gestire?
«Il problema è che certi gruppi puoi farli salire, agevolandone la presa del potere, ma poi le persone fanno quello che vogliono».
Si riferisce ai 5 Stelle?
«Certo. Alcuni sono manovrabili, altri no e questo crea grandi problemi. Anche se sono stati scelti con cura per il loro compito».
Qual era?
«Continuare il lavoro di Monti. L'esempio più chiaro è sotto gli occhi di tutti: l'accanimento sull'Ilva. Se chiudono l'Ilva, i 5 Stelle hanno assolto il loro compito».
A quel punto?
«A quel punto M5s non serve più. All'Italia invece serve la Lega. Ma qui Salvini paga il suo più grande errore: invece di corteggiare Orbán, avrebbe dovuto dare battaglia al Fiscal Compact dall'interno del Ppe».
Adesso cosa può fare Salvini?
«La Lega deve elaborare in modo più compiuto una politica economica non ordoliberista e approfondire la sua fisionomia di partito dei produttori».
L'incontro con le sigle sindacali e datoriali non va in questa direzione?
«Non lo avrei fatto al Viminale, piuttosto in una sede della Lega. Non è stato ciò che poteva essere: dei veri e propri Stati generali della produzione. Per concepire una cosa del genere però occorre sostituire i social con la politica».
Sta rimproverando a Salvini, il più scaltro animale politico italiano, un deficit di politica. Ci spieghi meglio.
«Solo se rappresenta veramente la borghesia nazionale, l'industria, le Pmi la Lega può rafforzare i suoi legami con gli Usa, evitando di cadere nelle braccia dell'imperialismo cinese e salvando così il paese».
Secondo lei fa bene o no la Lega ad intrattenere rapporti così stretti come sembra con la Russia?
«La domanda è mal posta. Salvini ha ragione a dire che le sanzioni alla Russia sono sbagliate. Anzi: questo è perfettamente in linea con la vecchia politica estera italiana. Mosca vuole giocare un ruolo euroasiatico di primo piano. Salvini lo ha capito, ma serve una politica estera».
Le risulta che l'Eni possa servirsi di mediatori come quelli che c'erano al Metropol di Mosca?
«Non scherziamo. L'Eni conosce l'interesse italiano prevalente e lo difende. È ministerialista per definizione. Come tutte le nostre grandi imprese, conduce trattative con tutti i governi, ma non nelle hall degli alberghi. Come si possono fare illazioni così?».
Il governo è spacciato?
«Non credo.
Penso che gli Usa vogliano ancora che una delle poche provincie ribelli contro il dominio franco-tedesco sull'Unione Europea continui ad esistere e funzionare. I ribelli partono scamiciati, indossano felpe, ma devono trasformarsi in politici, ancor meglio se riformisti. Altrimenti faremo la fine di Portogallo e Grecia».
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