
Diciannove anni e siamo sempre allo stesso punto: Berlusconi stragista e bombarolo. Sembra impossibile, ma questa sorta di fiction lunare rinasce sempre dalle ceneri della propria paranoica inconsistenza e incrocia puntualmente procure e magistrati disposti a scriverne un'altra polverosissima puntata, in vista della successiva, inevitabile archiviazione. È cosi dal 21 gennaio 1998, quando un boss della Cupola, Salvatore Cancemi, mette a verbale le prime farneticazioni sui presunti sotterranei rapporti fra il Cavaliere e, nientemeno, il capo dei capi Totò Riina. Un romanzo sgangherato e sconvolgente, riproposto nel decennio successivo da un collaboratore, Gaspare Spatuzza, che tutti considerano affidabile ma che naturalmente parla de relato, ripropinato ora da Giuseppe Graviano, intercettato nella sua cella e vai a sapere se suo malgrado oppure no.
Tre mafiosi, tre indagini che finora non sono arrivate a nulla e non hanno partorito un processo che non avrebbero potuto sostenere con la loro feroce e spropositata vaghezza, ma proprio per questo i pm di mezza Italia ad ogni stormir di fronda sono titolati a riaprire il librone e a rianimarlo per un po', fra veleni e appuntamenti elettorali. Come in questa tornata: il Cavaliere scende in Sicilia per le regionali e subito gli appiccicano addosso le frasi ad effetto di Graviano che tutto è fuorché un pentito. E però la procura di Palermo e Nino Di Matteo, il pm di punta che non disdegna gli applausi grillini, hanno provato a irrobustirle e trasformarle in accuse, poi visto che tanto per cambiare non si andava da nessuna parte, hanno recapitato il pacco a Firenze.
Il gioco dell'oca riprende da una delle tante caselle attraversate - ci sia permessa la semplificazione un po' brutale - da un'unica grande inchiesta che si è poi divisa in tanti fascicoli diversi: quella su Berlusconi e Cosa nostra. Un'indagine in cui, in una successione incredibile, al Cavaliere sono state attribuite tutte le parti in commedia: vittima di Cosa nostra e dunque, tramite il vicinissimo ma infido Dell'Utri, alla ricerca di coperture e garanzie; poi autore di un patto scellerato con l'ala stragista e sanguinaria dei Corleonesi per fermare la mattanza senza fine dell'orrendo biennio 92-93. Infine, non partner di un gioco sporco ma addirittura complice con le mani macchiate dal sangue innocente.
Si comincia a Palermo con lo storico fascicolo 60/31 del 1994, si prosegue con capi d'imputazione che si sdoppiano, emigrano, evaporano e ricompaiono come i fiumi del Carso. Nel tempo Berlusconi è stato indagato per concorso esterno, e ancora riciclaggio per l'odore dei soldi, ma la contestazione più tremenda fa capolino nel '98 a Caltanissetta, con le dichiarazioni di Cancemi. Frasi sconvolgenti, persino ridicole nella loro tragicità. E che non hanno mai trovato la minima pezza d'appoggio: «Berlusconi era nelle mani di Riina» e ancora «Riina diceva che Berlusconi e Dell'Utri erano il nostro futuro». Ma non il futuro dell'inchiesta che dopo tanto clamore finì sul solito binario morto.
Nel 2008 Firenze riapre le pagine ormai ingiallite e le riattualizza sfruttando il racconto di Gaspare Spatuzza che riporta a sua volta le confidenze di Giuseppe Graviano sul duo Dell'Utri-Berlusconi. Le suggestioni però non portano lontano. E oggi Firenze si appiglia alle cimici e direttamente ai messaggi in codice, inconsapevoli, di Graviano.