
La pazienza di Carlo Calenda sta per finire, come quella di chi è preoccupato per il destino industriale dell'Italia. Sotto accusa c'è l'erede degli Agnelli, la famiglia che ha fatto la storia dell'automobile in Italia. Il suo nome è John Elkann e Calenda lo accusa di aver svenduto un patrimonio ideale. "Maserati è già morta". È una frase che pesa come un epitaffio e suona come un verdetto. Calenda non usa giri di parole, non si nasconde dietro i sofismi del politichese. Fa nomi, mostra facce, inchioda responsabilità. #ElkannOut. Tutti i fallimenti della gestione Elkann. E lì dietro, in quella grafica lucida come un manifesto d'accusa, c'è l'idea che qualcosa nel capitalismo italiano si sia spezzato. Non è solo la sorte di un marchio, o di una fabbrica. È la morte lenta di un immaginario, di una nobiltà industriale che ha smarrito il senso del rischio e della visione. Calenda lo dice da ex manager e da politico: l'Italia non può sopravvivere a padroni distratti, a eredi senza mestiere. "Elkann non ha le capacità gestionali per restare al vertice". È un colpo al cuore dell'aristocrazia economica, un processo in piazza a un cognome che per decenni è stato sinonimo di potere, stile, e soprattutto continuità. Maserati, Ferrari, Maranello. I simboli del mito si sbriciolano uno dopo l'altro come statue sotto la pioggia. "Dopo la presentazione di ieri al mercato finanziario, Ferrari ha perso il 13%". "Maranello non ha vinto nemmeno una gara nel campionato di quest'anno". Frasi che sembrano numeri, ma in realtà raccontano una parabola. La fine di un racconto dove l'Italia produceva bellezza e velocità, dove i motori erano poesia meccanica e non algoritmi di marketing. È una preoccupazione condivisa anche dal ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso, che davanti ai giovani di Confindustria dice: "Se il Parlamento lo chiede, Elkann torni in Parlamento".
Calenda scava, lucida, leviga. Ma non per costruire consenso: per denunciare. È un gesto quasi letterario, di ribellione contro l'inerzia.
Quando scrive "forse gli azionisti dovrebbero chiedergli un cambio", non parla solo di un consiglio d'amministrazione. C'è un fondo di malinconia, perché dietro l'ironia graffiante, si sente la nostalgia di un'Italia che sapeva correre.