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Calenda double face: finge di isolare il Pd ma tratta sulle regioni

Azione apre sul Lazio e sulla Lombardia. E Conte si smarca: "Noi avvantaggiati"

Calenda double face: finge di isolare il Pd ma tratta sulle regioni

«Apriremo comunque una discussione col Partito Democratico, ma deve essere una discussione sui fatti». A parlare è Carlo Calenda, che rivela così la volontà di fare da stampella al Pd. Per ora l'orizzonte di un'intesa è rappresentato dalle regionali (Lazio in primis, con la candidatura di D'Amato che per l'ex candidato a sindaco di Roma è un «ottimo profilo» e magari anche in Lombardia, dove la quadra potrebbe corrispondere al nome di Carlo Cottarelli). Il leader del Terzo Polo ammette di guardare in quella direzione: «Un pezzo riformista del Pd deve prendere il coraggio e aiutarci a costruire quest'area che stiamo costruendo, che è fondamentale per ridare al paese una prospettiva riformista», aggiunge alla Festa dell'Ottimismo de Il Foglio. E pensare che il Pd, se fosse privo di assist calendiani, sarebbe isolato e in grossa difficoltà. La posizione di Iv: «Ora vengono a chiedere alleanze contro: noi fieramente e fermamente faremo un'altra opposizione al governo Meloni, valutandolo com'è giusto sulla base del suo operato, non dei titoli, non delle ideologie, non delle frasi fatte che non significano più nulla», annota Raffaella Paita, capogruppo del Senato, in relazione alla richiesta di alleanza da parte del Pd. Poi c'è Giuseppe Conte, che ha tutto l'interesse politico-elettorale a marciare distante dai dem: «Rispetto al Pd siamo avvantaggiati perché noi la nostra rifondazione e il nostro rinnovamento lo abbiamo avviato per tempo», scandisce il capo grillino all'assemblea riformista organizzata a Roma da Stefano Fassina. L'ex premier giallorosso e gialloverde consiglia ai dem di «scontrarsi». Anche per abbattere quella che chiama «deriva correntizia». In realtà, il Pd uno scontro lo vive eccome: è quello tra Stefano Bonaccini, dato in pole da ambienti dem per la segreteria, e il cordone formato da Dario Franceschini e Andrea Orlando. Il duo non trova un nome unitario per il congresso ma concorda sul fatto che il governatore dell'Emilia Romagna sia un pericolo per l'apparato. Elly Schlein viene definita una «risorsa» ma niente di più. «Guardate che lei non è del Pd», rammenta una fonte. La rosa delle alternative a Bonaccini è ferma a tre nomi: Dario Nardella, che sulla candidatura nicchia, Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, e lo stesso Orlando. L'incertezza è tanta, pure in materia di alleanze. Enrico Borghi precisa: «il Pd deve caratterizzare la propria iniziativa politica sulla base di un proprio profilo identitario puntuale e preciso e subordinare le scelte in ordine alla politica delle alleanze sulla scorta di questo». Non bisogna fare come i laburisti inglesi qualche anno fa, insiste. L'europarlamentare Alessandra Moretti ha fretta: «Avviamo subito il congresso ed entro gennaio facciamo in modo di avere in carica la nuova segreteria. Facciamo tutto con i tempi delle donne e di una nuova generazione». Le idee sembrano poche, il caos enorme. La sensazione è che al Nazareno si sentano sempre più schiacciati su due lati e non sappiano come reagire. Calenda però, invece di dare vita ad un'alternativa come rimarca spesso, prepara una scialuppa: un accordo per le regionali. Per porre le basi per un nuovo centrosinistra, non più «campo largo» come quello sognato da Zingaretti ma «area riformista» comprendente pezzi di Pd e +Europa.

Chissà cosa ne pensano tutti quegli elettori che hanno creduto alla terzietà e all'autonomia del Tp.

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