Il calendario non perdona: i giorni neri delle alluvioni

Dal Polesine a Firenze, dal Piemonte alla Liguria gli eventi disastrosi spesso tra fine ottobre e novembre

Il calendario non perdona: i giorni neri delle alluvioni

Storia novembrina del disastro italiano.

C'è poco da gridare all'emergenza, al fato cinico e baro. Piangere si piange, che c'entra. Ma poi diamo un'occhiata al calendario. Nella storia italiana quasi ogni anno di questi tempi il maltempo chiede il suo tributo di morti e devastazioni. Gli ultimi giorni di ottobre e i primi di novembre sono l'orribile lunga festa nazionale delle alluvioni. E solo uno sciocco potrebbe pensare a un caso: questo è il periodo in cui si «rompono» le stagioni, caldo e freddo si scontrano provocando piogge sempre torrenziali. Che cadono su terre esauste, maltrattate, consumate, sfibrate, stuprate, certo. Ma lo fanno tutti gli anni, sempre negli stessi giorni.

Ripercorrere la storia dell'Italia sotto l'acqua di inizio autunno vuol dire ritirar fuori ritagli inzuppati di giornale, contare vittime dimenticate, osservare lapidi che in alcune città ancora segnalano quanto i fiumi si innalzarono quel giorno in cui terra e cielo diventarono un'unica cosa. Una collana di dolori, da Nord a Sud.

La prima grande tragedia naturale del dopoguerra è l'alluvione del Polesine nel novembre 1951. Due settimane di piogge incessanti gonfiano il Po e i suoi affluenti, rovesciando sulle province di Ferrara e di Rovigo a partire dalla sera del 14 novembre una quantità biblica di acqua che sfonda gli argini del grande fiume in tre diversi punti nei comuni di Canaro e Occhiobello. Due terzi della portata del fiume, tra i 7mila e i 9mila metri cubi al secondo, si riversa con furia distruttrice sulle campagne del Polesine, che resta sommerso per intere settimane. Muoiono un centinaio di persone, 89 dei quali sorprese a Frassinelle mentre su un camion tentano di fuggire dalla fine. Quasi 200mila persone restano senza casa, tra le 180mila e le 190mila. Da quei giorni di novembre il Polesine non è più lo stesso.

L'Italia invece è sempre la stessa. E quindici anni dopo, nei medesimi giorni, si lecca di nuovo le ferite. Il 4 novembre 1966 dopo giorni di intense precipitazioni, l'Arno straripa dapprima nel Casentino e nel Valdarno, e poi a Firenze. Le fognature esplodono una dopo l'altra, le acque sommergono l'Oltrarno storico, l'addetto alla sorveglianza degli impianti idrici finisce travolto dalle acque mentre è al telefono con un cronista della Nazione che chiede informazioni. A San Donnino le acque del fiume si issano ben oltre i cinque metri. Muoiono 35 persone, per lo più anziani, Firenze è sfregiata, finiscono nel fango volumi di inestimabile valore della Biblioteca nazionale, capolavori degli Uffizi, e giovani da ogni punto piombano a Firenze per aiutarla a rialzarsi. Sono gli angeli del fango. Negli stessi giorni le acque invadono Venezia e fanno tre morti.

Dopo qualche decennio di tregua negli anni Novanta nuove tragedie: il 5 e 6 novembre 1994 l'esondazione del Tanaro allaga il Piemonte, provocando danni enormi e 70 morti soprattutto in provincia di Alessandria. Il 14 ottobre 1996 la piena dell'Esaro devasta Crotone e fa sei vittime. Tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2010 tre persone muoiono in Veneto nel corso di una serie di eventi drammatici che interessano 130 comuni. Il 25 ottobre 2011 la piena dei fiumi Magra e Vara inonda le province della Spezia e la Lunigiana, provocando 13 morti.

Pochi giorni dopo, l'11 novembre, Genova viene allagata dall'esondazione del Bisagno e di altri torrenti: i morti sono sei e le immagini della devastazione per la prima volta finiscono in tutte le case grazie ai telefonini. L'anno dopo, il 12 novembre 2012, il tributo di vite umana lo paga la Maremma grossetana: i morti sono sei.

Fine della storia. Oddio, proprio fine non ci giureremmo.

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