Il Califfo ci attacca quando è battuto

Gli attacchi in Europa sono la risposta alle sconfitte militari in Irak e Siria

Fausto Biloslavo

Le bandiere nere esportano la guerra santa con l'arma del terrore, quando perdono terreno in Siria, Irak o Libia. Un copione già visto dall'attacco al giornale satirico Charlie Hebdo fino all'aeroporto Atatürk. L'attentato suicida di Istanbul coincide con la liberazione di Falluja, roccaforte sunnita dello Stato islamico in Iraq proclamata il 27 giugno. La prima città conquistata dai miliziani jihadisti alla vigilia della folgorante avanzata del 2014. In Libia, la «capitale» del Califfo di Sirte è stretta in una morsa delle milizie di Misurata e del nuovo governo di Tripoli. Il cerchio ha iniziato a stringersi proprio questo mese. E guarda caso il 17 giugno sono stati arrestati a Bruxelles tre sospetti terroristi, pronti ad agire rispondendo a un ordine di «intervento immediato»: colpire uno dei raduni di massa per assistere in piazza alle partite degli europei sui maxi schermi.

Giugno è un mese difficile per lo Stato islamico. L'intelligence turca aveva segnalato 20 giorni fa un possibile attentato delle bandiere nere elencando una serie di obiettivi compreso l'aeroporto Atatürk di Istanbul colpito la sera del 28 giugno. Il riavvicinamento con Israele e la distensione con Mosca hanno fatto il resto. Non solo: le forze curde e arabe appoggiate dagli Stati Uniti stanno avanzando verso Manbij, vicino al confine fra Siria e Turchia. Un caposaldo strategico, che permette al Califfato di sostenere le attività illecite di contrabbando e l'arrivo dei volontari della guerra santa attraverso la frontiera turca. La battaglia è furiosa, ma ieri Brett McGurk, inviato speciale del presidente americano Barack Obama, si è detto certo della vittoria «che aprirà la strada verso Raqqa», la capitale siriana del Califfato. Le bandiere nere non vincono più e reagiscono con il terrorismo. In Irak, secondo il governo di Bagdad hanno già perso il 40% del territorio conquistato due anni fa, e in Siria il 20-25%.

Il 7 gennaio 2015 i seguaci del Califfo annidati a Parigi hanno colpito Charlie Hebdo. L'inizio dell'offensiva terroristica in Europa era una rappresaglia alla prima, importante, sconfitta dello Stato islamico. Per quattro mesi le invincibili bandiere nere hanno cercato di conquistare Kobane, la Stalingrado curda in Siria, ad un passo dalla Turchia. In gennaio era chiaro che stavano soccombendo sotto gli attacchi aerei Usa e a fine mese i miliziani jihadisti si sono ritirati.

La sera dello scorso 13 novembre i terroristi hanno attaccato in più punti Parigi, uccidendo 130 persone. Poche ore prima, veniva annunciata la liberazione di Sinjar, una città strategica irachena lungo l'autostrada che collega Mosul e Raqqa, le due «capitali» del Califfo. La capitolazione era inevitabile da settimane. La cellula nascosta da tempo a Parigi potrebbe non aver scelto a caso la data della strage.

Il 22 marzo i kamikaze dello Stato islamico hanno seminato la morte all'aeroporto di Bruxelles e alla stazione della metropolitana vicina al quartier generale dell'Unione europea. Da giorni veniva annunciato l'inizio dell'offensiva su Mosul, roccaforte del Califfo, iniziata il 24 marzo e ancora in corso. Seimila uomini, che avanzano lentamente con l'appoggio dell'artiglieria e dei cacciabombardieri della coalizione occidentale. Le truppe irachene sono arrivate sulle sponde del fiume Tigri per tagliare in due le linee delle bandiere nere.

Secondo il Pentagono i prossimi mesi saranno cruciali per avanzare sulle «capitali» del Califfato, che nel giro di un anno potrebbe essere sull'orlo della disfatta. Ma il rischio è che ad ogni vittoria sul terreno i colpi di coda jihadisti colpiscano a casa nostra.

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