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Cambiare per non morire la vera forza dell'Occidente

Usa e Ue fanno mea culpa sul clima e sono pronte a ridurre le emissioni. Il no di Cina, Russia e India

Cambiare per non morire la vera forza dell'Occidente

La buona notizia che arriva da Glasgow è che finalmente si torna a parlare di futuro. La politica allarga i suoi orizzonti e sposta lo sguardo dall'attimo, dal minuto per minuto, dalla ricerca del consenso qui e adesso, per ragionare su quello che accadrà fra mezzo secolo e oltre. Non è cosa da poco. Qualcuno può dire che sono solo parole e non si fanno i conti con chi cerca di sopravvivere con il quotidiano o, da un altro punto di vista, non si guarda in faccia l'apocalisse e si rimanda a domani quello che dovrebbe essere fatto oggi. È una storia antica e divide chi vede solo bianco e chi tutto nero. La realtà è che tra il bianco e il nero ci sono infinite sfumature. È per questo che non bisogna liquidare il Cop26 solo come le chiacchiere inutili del club dei potenti.

Glasgow è però anche la fotografia di un paradosso culturale. Non è soltanto un vertice globale. È un qualche modo anche un processo a un modello di civiltà. È l'Occidente che cerca un responsabile, un colpevole, per il disastro ecologico. Chi sta uccidendo la madre terra? La risposta che arriva dai maestri del pensiero occidentale sembra scontata. L'assassino è l'occidente, il suo modello di sviluppo, l'utopia della crescita senza fine, l'ossessione per il consumo, la diseguaglianza economica sempre più spietata e radicale. L'occidente insomma come incarnazione del capitalismo. È lì la colpa e non ci può essere redenzione. La risposta, dicono gli «apocalittici», non può che arrivare da un cambio di civiltà. L'unica strada è ripensare tutto, archiviando il capitalismo e ciò che rappresenta, rinnegando il sistema dell'economia di mercato e riscrivendo la storia del modello liberal-democratico. Quello che si chiede è una rivoluzione copernicana. Il paradosso è che questo dibattito avviene in gran parte nel cuore dell'occidente, una parola che tra l'altro non è neppure il caso di utilizzare perché sta diventando inopportuna. Il guaio è che si fatica a trovare un'alternativa. Il maledetto occidente, cioè Europa e Stati Uniti, è quello che a Glasgow spinge per una soluzione rapida e drastica. È disposto a far pagare i costi della transizione ai suoi cittadini. È conscio che il problema esiste e serve una riforma etica del capitalismo. Sono solo parole? Può darsi. I fatti dicono però che a rendere complicato l'accordo sono Cina, Russia, India o Arabia Saudita. Sono loro che vogliono arrivare alle emissioni zero di anidride carbonica non nel 2050 ma dieci o vent'anni dopo. I motivi si sanno. Si tratta di economie che dipendono ancora troppo dal carbone e dagli altri combustibili fossili. Non c'è però solo questo. Non hanno neppure sensi di colpa. L'anomalia del libero mercato, come storia e come cultura, non gli appartiene. È una visione del mondo che hanno prima subito e poi magari sfruttato, prendendone solo alcuni aspetti, approdando come ha fatto la Cina in una sorta di «comunismo capitalista».

Ora è vero che l'occidente da tempo tifa per il proprio suicidio. Quello che al momento non è riuscito ancora a definire è l'alternativa. Cosa c'è oltre il capitalismo? Il modello cinese? L'autocrazia di Mosca? Il petrolio saudita? La risposta resta tuttora vaga. C'è chi si affida alla decrescita e chi a un comunismo lontano dall'esperienza sovietica, da archiviare come incidente della storia, e chi su uno Stato etico, con i caratteri della «democrazia» platonica, dove al posto dei filosofi ci sono magari gli scienziati. Sono vie d'uscita che hanno un costo salato. La sicurezza di tutti viene pagata con la libertà individuale.

C'è anche chi invece sostiene che la risposta possa arrivare comunque dall'evoluzione del capitalismo. È una risposta scientifica e tecnologica, con uno spostamento di risorse finanziarie sulla ricerca. È l'idea, per esempio, di catturare l'anidride carbonica. Non è una ricetta magica e da sola comunque non basta. È un processo lungo, che senza dubbio ha bisogno anche di scelte morali, ma il capitalismo resta il modello di sviluppo più flessibile rispetto alle sue alternative.

La metamorfosi in fondo è la sua forza.

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