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Cameron e la Ue in crisi. "Inglesi tentati dall'uscita. Mi batterò per evitarla"

Il premier britannico a Bruxelles per tentare di trovare un accordo. Ma l'Europa vuole che Londra abbandoni l'idea di limitare i benefit per i migranti

Cameron e la Ue in crisi. "Inglesi tentati dall'uscita. Mi batterò per evitarla"

Londra - «Non voglio raggiungere un accordo in una notte, ma posso fare pressione per rilanciare la possibilità che si arrivi ad un accordo in futuro». Queste le parole dette ieri dal premier britannico David Cameron a margine del Consiglio europeo di Bruxelles per discutere nel dettaglio le richieste di revisione dei trattati presentate dal Regno Unito. «Mi batterò duramente per la Gran Bretagna» ha dichiarato un Cameron deciso a non mostrare alcuna debolezza nei confronti dei colleghi europei che già dalla mattinata avevano reso note alla stampa le loro perplessità sulle pretese inglesi, soprattutto su quel limite - richiesto dal premier - ai benefit da dare ai migranti che a suo parere non dovrebbero essere concessi se non dopo quattro anni di permanenza nel Paese.Per il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk alcune richieste sono inaccettabili, ma il leader conservatore insiste.

«Voglio vedere dei progressi reali nella nostra discussione» ha affermato appena giunto a Bruxelles, quasi a smentire le voci su una sua presunta disponibilità ad un qualsivoglia compromesso. Del resto questo sarà per Cameron, oltre che il decimo anno da leader dei Tory, sicuramente uno dei suoi anni più difficili. Alle prese con un crisi migratoria sempre più pesante, con una situazione interna esplosiva sul fronte della sicurezza nazionale e con degli elettori sempre più a favore di un'uscita dall'Europa, il rampollo di Eton che è riuscito a far dimenticare Blair deve tentare di portare a casa condizioni migliori per gli inglesi in ambito europeo e allo stesso tempo indire entro il 2017 quel referendum su Brexit che promise con slancio calcolato durante la sua seconda campagna elettorale.

E in una bella intervista concessa alla rivista The Spectator, in cui il premier si racconta a dieci anni dall'inattesa vittoria del 2005, Cameron spiega chiaramente quanto l'attuale crisi umanitaria e quella europea possano incidere sull'esito del futuro voto referendario. «In un certo senso - dice - due crisi contemporanee non danno una bella immagine dell'Europa, lo capisco. E comprendo che la gente sia tentata di dire "Oh Cristo, tenete l'Europa lontana da noi, ci crea soltanto problemi. Io penso però che si tratti della conclusione sbagliata, soprattutto se otterrò quello che chiedo. E nel lungo termine i cittadini potrebbero essere invece indotti a pensare che, se l'Europa vuole avere una moneta unica e se siamo vicini di casa, facciamo allora in modo che le nostre relazioni funzionino.

Se vogliono continuare ad avere un'Europa senza confini, di cui noi non facciamo parte, per l'amor del cielo assicuriamoci che i loro confini esterni siano sicuri e che vi sia uno scambio d'informazioni su chi passa questi confini, in modo da venirlo a sapere prima che questi tentino di entrate in Gran Bretagna».Cameron sa che il tipo di eredità politica che si appresta a lasciare dipende in gran parte da quello che riuscirà ad ottenere in Europa, ma anche da come evolverà la situazione in Medio Oriente. E se il fronte europeo sembra caldo, quello arabo è rovente. La sua ultima decisione di appoggiare i bombardamenti in Siria ha scatenato molte polemiche. E la sua campagna del 2011 per rovesciare Gheddafi in Libia, è rimasta un punto controverso.

Eppure «penso ancora che la Libia sia un paese migliore senza di lui» dichiara allo Spectator - adesso bisogna lavorare con il nuovo governo, ci vuole tempo, non esistono risposte semplici in nessun caso».

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