«Dagli amici mi guardi Iddio», con quel che segue, è da anni il motto inciso a fuoco nel simbolo di ogni formazione di centrosinistra, dal Pds-Ds all'Ulivo fino al Pd. I leader che si sono succeduti alla sua guida si sono sempre fatti le scarpe a vicenda, in una spirale cannibalesca senza tregua.
Oggi, con il volitivo Matteo Renzi, arrivato senza chiedere permesso alla guida sia del partito (la ex Ditta, possedimento esclusivo degli ex Pci) sia del governo (appaltato per anni a ex Dc un po' tecnocrati e apparentemente innocui, paracadutati dalla Ditta) la rabbia antropofaga dei maggiorenti spodestati è a livelli mai visti prima, neppure lì. E il premier si ritrova a governare, a guidare il partito e a pilotare le campagne elettorali trascinandosi dietro come palla al piede una sorta di «partito ombra» che rema contro e non perde occasione per ordire ingegnose trappole e geniali trabocchetti nel tentativo di farlo inciampare e riprendersi finalmente il maltolto. Per ora ci sono sempre finiti loro, dentro le proprie trappole, ma magari prima o poi ci riusciranno.
Ora, per dire, ci sarebbero le elezioni regionali e amministrative da vincere, per il Pd. Ed ex maggiorenti come Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani non è che non contribuiscano alla campagna elettorale: vanno in giro per l'Italia, parlano a manifestazioni di partito, si fanno fotografare col candidato sindaco. Solo che poi è più forte di loro, e non riescono a non sparare due, tre o anche quattro bordate contro l'odiato Renzi, rovinando tutto l'effetto. D'Alema, che ieri era in Calabria, qualche giorno fa dalla Toscana aveva attaccato a testa bassa Renzi («Arrogante»), l'Italicum («legge di destra»), il Pd renziano («Mi preoccupano quelli che se ne vanno, ma anche quelli che arrivano»). Niente male, come campagna elettorale, se fatta per conto degli avversari del Pd. Bersani non è da meno: venerdì, per dire, era a Mantova a sostenere il candidato sindaco Pd Palazzi. Con l'occasione, ha mollato qualche randellata al leader nazionale. «L'Italicum? Una legge che alimenterà la gara alla demagogia». Quanto alla riforma del Senato, «aumenterà il distacco tra cittadini e istituzioni». E l'addio di Civati «riflette un certo disagio e sofferenza» dentro al Pd, che lui pare condividere. Rosy Bindi e gli altri della minoranza seguono la stessa linea: in campagna elettorale, picchiare forte sul proprio leader-segretario-premier.
Poi ci sono i due che «hanno un libro in uscita da lanciare», come ha detto - poco affettuosamente - Renzi: Enrico Letta e Romano Prodi. Loro, ovviamente, la campagna elettorale non la fanno. Il giovane Letta perché, come ha annunciato, vuole lasciare il Parlamento e andare ad insegnare scienze politiche a Parigi; l'anziano Prodi perché (come ripete ogni volta che non riesce ad essere eletto presidente della Repubblica) lui è «fuori dalla politica».
Non abbastanza, però, da aver fatto pace con quel premier corsaro che lo ha preso sul serio e lo ha lasciato veramente fuori, dalla politica e dal Quirinale. Anche loro percorrono su e giù la penisola, per presentare il proprio parto letterario, e non risparmiano consigli e suggerimenti su come andrebbero fatte le cose. Tutto il contrario di come le fa Renzi, ovviamente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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