Cronache

Una campionessa di sci si riconosce quando sa evitare certe "scivolate"

C'è proprio bisogno di ricordare all'esperta in materia che il parlare è d'argento e il silenzio è d'oro?

Una campionessa di sci si riconosce quando sa evitare certe "scivolate"

C'è proprio bisogno di ricordare all'esperta in materia che il parlare è d'argento e il silenzio è d'oro? Evidentemente Sofia Goggia si intende di metalli, non di parole e concetti. Può essere un difetto dell'egocentrismo dei grandi atleti. Solitamente si assurge a campioni quando si evitano anche questi trabocchetti. Detto da Sofia un gay non avrebbe il coraggio di buttarsi giù dalla Streif. Quindi, andando per logica, una donna come lei ha avuto coraggio a buttarsi in discesa pur malconcia, un uomo può andare dovunque, il mondo gay (solo maschile o anche femminile?) ha qualche limite. Se lo raccontasse a Greg Louganis, antico campione dei tuffi sia dal trampolino sia dalla piattaforma 10 metri, potrebbe ricredersi. Non è chiaro se Goggia abbia mai visto qualcuno tuffarsi dai 10 metri, ma è un'esperienza che andrebbe fatta: e forse rivaluterebbe l'idea sul coraggio gay. Guardare un trampolino da sotto e vedere un fuscello che scende giù, rischiando anche di sbattere la testa contro la piattaforma, mette il brivido a chi guarda.

Figuriamoci a chi ci prova. Louganis (4 ori olimpici e 5 ori mondiali) era appunto gay, anche se fece coming out una volta chiusa la carriera. E così l'australiano Matt Mitcham argento ai giochi di Pechino 2008, e il ragazzino inglese Tom Daley che, a 15 anni, nel 2009 a Roma, vinse l'oro mondiale dalla piattaforma e nel 2017 si è sposato. Per buona conoscenza di Sofia va aggiunto che Louganis, durante la gara dal trampolino a Seul '88, sbattè la testa sul medesimo, venne ricucito con 5 punti di sutura, tornò in gara e vinse. Niente male. Poi, certo, c'è coraggio e coraggio: per esempio i calciatori hanno sempre faticato a fare coming out ed anche nel rugby non deve essere stato facile per Gareth Thomas, gallese di fama, raccontare la sua storia. Però se il coraggio si misura dall'impresa sportiva, cosa ne pensa dei pugili gay? Serve coraggio ad affrontare i pugni di un altro uomo. Ne prendi, ne restituisci ma fanno male sempre: al macio e al gay. Emile Griffith, che fu avversario di Nino Benvenuti per il mondiale dei medi, era un boxeur senza paura. Ed esagerò quando Benny Kid Paret, un cubano, continuò a chiamarlo «maricon» sul ring. Griffith era gay ma picchiava duro e quella volta si lasciò andare ad uno dei match più selvaggi visti: Paret finì steso e purtroppo morì in ospedale.

Griffith si portò il rimorso per la vita.

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