Caos 5s, fregati da Rousseau. E Di Battista resta nei paraggi.

Scoppia il caso del superministero inestistente. Morra "Era nel quesito, dov'è?". L'ex onorevole: "Ne valeva la pena?".

Caos 5s, fregati da Rousseau. E Di Battista resta nei paraggi.

Mentre Dibba saluta ma resta nei paraggi, il resto dei capofila della «rivoltina» grillina spara critiche sul nuovo governo. Ma naturalmente nessuno, almeno tra i volti noti, si sogna di fare scissioni. La critica principale quella di Nicola Morra: «Scusate, ma il super-Ministero della Transizione Ecologica dov'è?», si chiede, ricordando che era la condizione centrale inserita nel quesito sottoposto al voto on line. «Dare all'Ambiente le deleghe sull'energia e concedere il resto del Mise a Giorgetti? Alla faccia del super-Ministero!», incalza Morra. In realtà il nuovo dicastero avrà un importante ruolo di coordinamento sul Recovery plan. Ma che, come prometteva il quesito su Rousseau, sia lo strumento per «difendere le conquiste del Movimento», è tutto da dimostrare. Il titolare, il fisico Roberto Cingolani, ha un curriculum di tutto rispetto ma di certo non è grillino. Anzi, se ne ricordano partecipazioni alla Leopolda renziana. Insomma, i grillini di lotta si risvegliano con l'amara sensazione di aver preso una fregatura da democrazia diretta. E Di Battista, letti i nomi dei ministri, si limita a un laconico «ne valeva la pena?». Sa tanto di sceneggiata, mentre si scorge il disegno di tenere di riserva il barricadero Dibba per quando bisognerà tornare a suonare il refrain anti casta per convincere gli elettori. Operazione benedetta da Davide Casaleggio che ieri, in un'intervista al Corriere, rende l'onore delle armi a Di Battista «fondamentale per il Movimento» e invita «chi oggi guida l'azione politica del M5s» a «non gestire questo momento con arroganza oppure la larga parte contraria alla scelta di ieri potrebbe allontanarsi».
A cascata, da Luigi Di Maio in giù, arriva un profluvio di abbracci, attestati di stima e «arrivederci a presto». Nicola Morra, uno dei ribelli, incassa il voto di Rousseau senza fare un plissé e saluta Di Battista con un «ci rivedremo Ale». Un governista come Riccardo Fraccaro gli fa scudo «non merita attacchi». E lo stesso fa Danilo Toninelli, un altro anti Draghi ma non troppo: «Le nostre strade torneranno a incrociarsi». Perfino Elio Lannutti, critico con Draghi da prima di diventare un 5s, assicura fedeltà a Rousseau. Chi non lo rispetta, dice il capogruppo alla Camera Davide Crippa, «dovrebbe dimettersi».
L'impressione è che lo sbocco più probabile sia quello profetizzato da Michele Dell'Orco, già sottosegretario al Mit: «Non ci sarà alcun esodo dal M5s, ma la solita fuoriuscita fisiologica di una decina (meno del 5%) tra idealisti in buona fede e ritardatari delle restituzioni». Al Senato però, conferma Mattia Crucioli, avvocato genovese che terrà fede al suo «no a un governo espressione dei poteri finanziari» si tenterà di costruire un gruppo che si stacchi da M5s e vada all'opposizione. Al massimo una mini-scissione.
Al Giornale Crucioli consegna una dura replica a Crippa: «Dovrebbe essere lui a dimettersi, specie dopo il vergognoso uso manipolatorio della democrazia diretta nostra prerogativa che dovrebbe essere conservata in maniera sacra».

Crucioli contesta sia la formulazione furbetta del quesito che i tempi della consultazione su Rousseau: «È mancato il preavviso previsto da Statuto e in democrazia una consultazione non si rinvia sulla base di indici informatici che ti fanno temere di perdere per poi votare quando ti fa comodo». Se parte il nuovo gruppo su Crucioli ci sarà. Ma quanti altri?

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