«Loro possono rinunciare ai nostri voti se vogliono ma noi non possiamo rinunciare alle nostre idee», aveva avvertito ieri mattina Matteo Renzi, rivolto ovviamente alla maggioranza («loro»).
A fine giornata, è stato chiaro che - per il momento - dei suoi voti non possono fare a meno: Italia viva ha tenuto sulla corda per tutta la giornata gli alleati di governo a Palazzo Madama sul decreto Intercettazioni, che avrebbe dovuto arrivare in aula (per poi essere votato con la fiducia) ieri pomeriggio, ma non ci è mai arrivato. Tutto rinviato ad oggi, mentre il tempo incalza: il decreto scadrà il 29 febbraio.
Il testo infatti si è arenato in commissione, dove i renziani si sono messi di traverso contro un emendamento dell'ex presidente del Senato (e, soprattutto, ex magistrato) Pietro Grasso di Leu, che voleva allargare l'uso delle intercettazioni anche a reati diversi da quelli per cui erano state autorizzate. «Voteremo lealmente la fiducia al testo proposto approvato dal Consiglio dei ministri. Qualunque altra modifica potrà passare soltanto attraverso emendamenti condivisi da tutte le forze di maggioranza. Chi vota emendamenti non condivisi si assume la responsabilità della rottura», è stato l'altolà dell'ex premier.
La maggioranza è andata nel panico: in commissione, senza i voti renziani, sull'emendamento Grasso sarebbe finita 12 a 12: e siccome, per il regolamento del Senato, in caso di parità prevalgono i voti contrari, il governo sarebbe andato sotto. Per tutto il pomeriggio, a Palazzo Madama si sono susseguiti senza costrutto vertici, trattative, tentativi di mediazione, tra scatti di nervi, porte sbattute e veementi proteste delle opposizioni: «Siamo alla farsa, fateci votare». Grasso alla fine deve rimangiarsi l'emendamento, e Italia viva canta vittoria. Dal Pd e dai Cinque stelle trapela ira malcelata contro Renzi: «è incomprensibile che si metta di traverso», dice il dem Mirabelli. «Da Italia viva cambiano idea ogni mezz'ora», sibilano i grillini. Bonafede cerca di difendere la sua creatura pro pm: «Non possiamo assolutamente depotenziare uno strumento fondamentale come le intercettazioni». In realtà, sottolinea, da Forza Italia Enrico Costa, il decreto grillino ha un sapore orwelliano: «Allarga l'uso dei trojan e li equipara a usuali intercettazioni». Un inquietante scenario da Grande fratello, con i cittadini spiati a piacimento in casa propria.
Il caos del Senato va in onda proprio mentre a Palazzo Chigi si riunisce l'ennesimo «tavolo» che, nei desiderata di Conte, dovrebbero compilare la stupefacente Agenda 2023 e blindarlo sul trono fino a fine legislatura, allargando la maggioranza ai «responsabili». E ieri toccava proprio al tavolo sul tema giustizia, su cui come è noto non c'è alcun accordo, tanto che Conte ha espunto dall'ordine del giorno sia le intercettazioni che la prescrizione, e si è chiacchierato del più e del meno. «Personalmente preferisco lavorare che alimentare le polemiche», è la perla di saggezza con cui ha esordito il premier aprendo la conversazione.
Nel frattempo appare arenato anche il tavolo che doveva occuparsi di «superare» i decreti Sicurezza di Salvini. Il Pd e Leu avevano promesso di abolirli, poi di cambiarli «radicalmente». Ma Crimi, a nome di M5s, ha messo il veto: «Non si toccano». Conte si è prontamente allineato, preparando un'operazione di puro maquillage.
Italia viva si è messa di traverso anche lì, chiedendo modifiche drastiche e lanciando la sfida a Pd e Leu, timorosi di suscitare le ire grilline: «Sui decreti Sicurezza state con Crimi o state con noi?», chiede loro il renziano Gennaro Migliore. Il tavolo è rinviato a data da destinarsi. E Renzi annuncia che oggi, da Porta a porta, dirà la sua su come la legislatura possa proseguire: «Consiglio di ascoltare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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