Caos allo Studio Ovale tra rabbia e minacce. Il tycoon furibondo per l'appellativo Taco

Crociata pronta contro i giudici che bloccano tutto. Presidente stizzito per l'acronimo ("Trump si tira indietro"). "Sono un duro"

Caos allo Studio Ovale tra rabbia e minacce. Il tycoon furibondo per l'appellativo Taco
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Caos. Non c'è altra parola per descrivere la situazione innescata dalla decisione della US Court of International Trade, che ha di fatto cancellato l'editto del 2 aprile, il «Liberation Day» nel quale Donald Trump aveva dichiarato al mondo la sua guerra dei dazi. L'ordinanza dei tre giudici del tribunale federale, del quale in pochi fino a mercoledì sera conoscevano l'esistenza, fa cadere una delle interpretazioni più audaci del potere esecutivo del presidente e con essa uno dei pilastri della politica commerciale del Trump 2.0. «Sono giudici attivisti. Non spetta a loro decidere come affrontare un'emergenza nazionale», ha tuonato la Casa Bianca subito dopo l'annuncio, mentre nella West Wing veniva messa a punto la strategia di contrattacco. «È una decisione impropria e un abuso di potere», ha rincarato la dose giovedì la portavoce Karoline Leavitt, tradendo un evidente nervosismo e riferendo che l'Amministrazione ha già presentato un «appello di urgenza». Ma, «in ultima analisi» spetterà alla Corte Suprema decidere.

In precedenza, era stato il dipartimento di Giustizia ad annunciare l'ipotesi di un provvedimento d'emergenza alla Corte Suprema, già a partire da oggi, per stabilire la costituzionalità dei dazi di Trump.

Quanto alla domanda che in queste ore viene sollevata nelle cancellerie di tutto il mondo, che fare dei negoziati in corso, la risposta di Leavitt è apparsa poco convinta e convincente: «Gli altri Paesi hanno fiducia nel negoziatore in capo e capiscono quanto è ridicola la decisione dei giudici». Saranno i prossimi giorni a dire che fine farà il grande piano di Trump per riscrivere i rapporti commerciali globali all'insegna dell'«America First». Il suo consigliere economico Kevin Hesset si è presentato davanti alle telecamere di Fox Business per rassicurare il popolo Maga: in appello vinceremo e «ci sono moltissimi accordi commerciali in arrivo, tre sono praticamente conclusi», il messaggio. Certo è che a leggere i profili di almeno due dei tre giudici chiamati in causa, non se ne ricava certo l'impressione di fanatici esponenti della sinistra globalista. Del collegio fanno parte Timothy Reif, nominato da Trump, con la fama di essere un protezionista; Gary Katzmann, nominato da Obama, con fama di scrupoloso sostenitore della lettera delle leggi; e Jane Restani, nominata da Ronald Reagan nel lontano 1983, già giudice capo della Corte.

La battuta d'arresto, forse la più dolorosa per Trump tra quelle finora subite dai vari tribunali, è giunta dopo un altro momento imbarazzante per il presidente. Durante uno scambio di battute nello Studio Ovale, una cronista ha osato chiedergli cosa ne pensasse di quel soprannome, «Taco», che gli è stato affibbiato dagli investitori di Wall Street e poi rilanciato dal Financial Times per il suo atteggiamento altalenante sui dazi. «Taco», in riferimento al piatto messicano, sta per «Trump always chickens out». Tradotto e adattato, «Trump ha paura e si tira sempre indietro».

Dapprima, Trump non ha capito. Poi, la replica stizzita: «Io coniglio? Questa è una domanda davvero cattiva, non farmela più. Dicono che sono troppo duro, non un coniglio». Per la prima volta, il tycoon è apparso sulla difensiva.

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