La tragedia del Mottarone

Decisione clamorosa. Il Gip scarcera tutti. Nerini e Perocchio tornano liberi. Tadini ai domiciliari.

Nell'interrogatorio di garanzia in carcere i primi due avevano scaricato ogni responsabilità, solo il capo del servizio si era accusato: "Incredibile abbia ceduto il cavo. Non mangio e non dormo più"

Decisione clamorosa. Il Gip scarcera tutti. Nerini e Perocchio tornano liberi. Tadini ai domiciliari.

Solo l'indignazione popolare, e non il codice penale, avrebbe giustificato tenerli in galera. I tre accusati della strage del Mottarone lasciano il carcere, al termine di una giornata di interrogatori. Gli elementi a loro carico rimangono pesanti, ma non ci sono esigenze cautelari, come invece sosteneva la Procura di Verbania. Non possono fuggire, non possono più inquinare prove. Va ai domiciliari Gabriele Tadini, il caposervizio della funivia, e tornano completamente liberi Luigi Nerini, il gestore dell'impianto, e Enrico Perocchio, direttore di esercizio. Lo ha deciso il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici.
È una decisione pienamente in linea con la legge, nonostante che col passare del tempo i tre indagati per il disastro di sette giorni fa sulla funivia del Mottarone sembrassero impegnati ad aggravare l'immagine di sé che proiettano all'esterno, a tirarsi addosso l'incredulità e la rabbia. Dopo l'incoscienza criminale che ha portato per quasi un mese a piazzare il «forchettone» sulla cabina 3 dell'impianto per impedire ai freni d'emergenza di entrare in funzione, ieri negli interrogatori era partito lo scaricabarile, con aspetti che hanno del surreale.
I tre vengono interrogati nel carcere di Verbania per la convalida del fermo per omicidio colposo plurimo e disastro colposo scattato poco prima dell'alba di mercoledì. E davanti al giudice l'unico a prendersi per intero le sue colpe è Tadini, l'ideatore della trovata del forchettone. È stato il primo a confessare, è stato lui a chiamare in causa gli altri due. Adesso dice di essere devastato dal rimorso, «non mangia e non dorme da quattro giorni», spiega il suo legale. Ma quando arriva al punto di dover spiegare come gli sia venuto in mente una follia simile, si limita a dire che era «incredibile» che il cavo si spezzasse. Così incredibile che è accaduto. E insieme al cavo sono schiantate a valle la cabina e quattordici vite umane.
Gli altri due arrestati, invece, negano tutto. Nega Perocchio, che pure lavora per l'azienda incaricata della manutenzione, e quindi della funivia doveva sapere tutto: compreso quel problema alle pompe dell'impianto frenante che lo faceva scattare all'improvviso e senza motivo. Al giudice Perocchio dice che piazzare le ganasce per aggirare il difetto è stato una «scelta scellerata» di Tadini, e che lui non sarebbe mai salito su una funivia in quelle condizioni. Ma nei giorni scorsi i carabinieri hanno scoperto che il sistema dei forchettoni era noto praticamente all'intera squadra che dal 26 aprile si è avvicendata nel funzionamento della Stresa-Alpino-Mottarone. E che proprio il direttore d'esercizio ne fosse del tutto all'oscuro non è parso al giudice del tutto verosimile. Per non parlare di quanto affermato da Perocchio, secondo il suo legale, sull'elemento scatenante del disastro, il cedimento della fune: «Non sappiamo perché si è rotto il cavo e non è un nostro problema».
Ancora più scomposto il tentativo di chiamarsi fuori da parte di Luigi Nerini, il titolare della Funivie del Mottarone, cioè il gestore. Davanti al giudice Nerini afferma nientemeno che la sicurezza della funivia non era affar suo: al giudice, racconta il suo legale, Nerini ha spiegato «chi deve fare cosa in un una società, cioè chi deve occuparsi della sicurezza e chi del business». E lui si occupava solo del business, dei soldi, della grana: quella grana che secondo la Procura è stato il movente del delitto, la frenesia di andare avanti a tutti i costi per non perdere gli incassi.
Così si torna daccapo, alla spinta che ha messo in moto questa catena di colpe. Gli incassi. Ieri Perocchio si aggrappa proprio a questo elemento per dire che lui non aveva nessun motivo di fare andare la funivia in condizioni rischiose, «se la funivia del Mottarone chiude per manutenzione - riassume il suo legale - l'ingegnere Perocchio non perde denaro ma dorme su otto cuscini».

Mentre Nerini scarica sugli altri due, «le norme - spiega l'avvocato del gestore - dicono che della sicurezza si devono occupare il capo servizio dell'impianto e il direttore di esercizio», cioè Tadini e Perocchio.

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