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In carcere da innocenti: "ordinaria" ingiustizia

Nel libro di Zurlo nove storie simbolo di un sistema malato. Che non paga per i suoi errori

In carcere da innocenti: "ordinaria" ingiustizia

Innocenti dietro le sbarre. Nel '71 Nanni Loy e Alberto Sordi avevano provato a raccontare, sul grande schermo, le ingiuste detenzioni con Detenuto in attesa di giudizio. Ma l'odissea del geometra interpretato da Sordi non è fiction: la stessa sorte, tra 1991 e 2020, è toccata ad almeno 30mila persone, come ricorda Stefano Zurlo nell'introduzione alla sua ultima fatica letteraria, Il libro nero delle ingiuste detenzioni, edito da Baldini+Castoldi e con una prefazione dell'ex magistrato Carlo Nordio. Zurlo nel libro snocciola nove storie, alcune note e altre inedite, di vip o persone qualunque travolte da un destino inatteso e finite in galera per reati mai commessi, tentando di dimostrare un'innocenza che il sistema giudiziario dimostra, in queste storie, di non presumere affatto.

C'è Jonella Ligresti, figlia di Salvatore, che si ritrova in manette a luglio 2013 per un errore di calcolo del consulente della procura e che esce dall'incubo, con l'archiviazione, solo a maggio di quest'anno, dopo otto anni. Il primo dei quali passato in carcere, lontana dai figli e dai familiari. E c'è Edgardo Mauricio Affè, ragazzo colombiano adottato da una famiglia siciliana che, per due schiaffi a un amico con cui aveva litigato, si è fatto due giorni in cella e sei mesi ai domiciliari con l'accusa di rapina (del cellulare) e lesioni. Eppure l'alterco era stato filmato da una telecamera: nessuna rapina (a raccogliere il telefono era stato un altro soggetto) e nessun pestaggio, solo due schiaffi, per i quali la «vittima» non ha nemmeno voluto sporgere denuncia. C'è la storia, incredibile, di un ex imprenditore della «Milano da bere» degli anni '80: quattro anni in galera per le dichiarazioni di due pentiti rilasciate nel corso di una rogatoria irregolare salvo poi scoprire di essere stato assolto, quindici anni più tardi, senza che nessuno si preoccupasse di notificargli la sentenza. L'imprenditore veneto Diego Olivieri, invece, si è fatto «solo» un anno di carcere per una storia inverosimile di traffico internazionale di stupefacenti, riciclaggio e associazione mafiosa, tutto per aver consegnato un orologio a un amico di un amico che l'aveva scordato in Canada, dove l'uomo operava con la sua azienda, col corollario di una «finta» liberazione seguita da un contestuale secondo arresto, odioso tranello per carpire una confessione che, da un innocente, non poteva arrivare. E poi ecco il perito assicurativo che denuncia le minacce fatte all'amante, ex prostituta, dal suo vecchio protettore e si ritrova sette mesi in cella con l'accusa di essere lui un protettore che estorceva e rapinava.

E infine i casi più paradossali. Pietro Paolo Melis, arrestato per sequestro di persona per una intercettazione a lui erroneamente attribuita a 37 anni e tornato libero a 56 anni, quasi 19 anni dopo, e che a un lustro dalla ritrovata libertà aspetta ancora il risarcimento per l'ingiusta detenzione. E Giuseppe Gulotta. Arrestato per aver confessato di essere l'esecutore della strage di Alcamo, nel 1976, dopo essere stato selvaggiamente pestato in caserma per estorcere quell'ammissione. Che si è rivelata falsa solo 38 anni dopo, quando Gulotta aveva scontato 22 anni di carcere, ed era già in libertà condizionale da due anni. Non ha riavuto il tempo rubato dalla malagiustizia, ma 6,5 milioni di euro, risarcimento record, e l'onore.

Quello che la giustizia in azione dietro queste storie non avrà mai.

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