Carlo, addio al comunista nobile I Ripa di Meana riposano insieme

Marchese e ministro. L'inizio nel Pci, fu vicino a Craxi e poi ecologista. Il suo lungo (e appassionato) amore con Marina

Carlo, addio al comunista nobile I Ripa di Meana riposano insieme

D ue mesi dopo Marina, se ne è andato anche Carlo, il marito. I Ripa di Meana riposano, infine, a conclusione di una vita lunga e davvero vissuta, senza farsi mancare nulla, nel pubblico e nel privato. Carlo non aveva mai abbandonato i titoli nobiliari che si portava appresso dalla nascita in Pietrasanta, dal padre Giulio e dalla madre Fulvia Schanzer. Era dunque, marchese di Meana e di Giglione, signore di Alteretto e Losa, nobile dei signori del marchesato di Ceva. L'araldica venne messa da parte, per ovvi motivi di bandiera, quando il ragazzo si diede alla politica e a quella dura e pura del partito comunista che lo incaricò di dirigere a Praga, negli anni belli della falce e del martello prima dei carri armati che avrebbero invaso Budapest, l'Unione Internazionale degli studenti, fucina di intelligenze pronte alla rivoluzione ma con il cachemire. Carlo Ripa di Meana, tra le mille cose belle del marchese non posso e non voglio trascurare la sua firma, insieme con altri ottocento illustri signori e signore, al manifesto con il quale l'Espresso accusava il commissario Calabresi dell'omicidio dell'anarchico Pinelli. Passati quasi quarant'anni lo stesso Ripa di Meana, bravo ma lento, decise di scusarsi con i famigliari di Calabresi per quella firma ignobile. Non posso nemmeno evitare di ricordare l'amore passionale per Gianna che era rossa di capelli, gambe forti e vocione profondo, tanga amaranto e frequentatrice del parco Ravizza. La succitata Gianna era un transessuale e il marchese ha narrato quella passione lunga, nell'autobiografia Cane Sciolto: «La feci salire sulla mia Giulia una notte del 1970, tornando da un giro elettorale tra Mantova e Cremona, digiuno, stanco e sudato. Appena mi toccò esplose la passione». Bizzarro, dunque, originale, imprevedibile come la sua futura moglie, femmina totale, bellissima, affascinante, di uguale stramba ma libera esistenza. Andarono a nozze nell'Ottantadue e i testimoni furono quattro teste pesanti e pensanti, Bettino Craxi, Alberto Moravia, Goffredo Parise e Antonio Giolitti. Amici e soprattutto compagni del garofano rosso, perché il giovane comunista era passato al piessei, vicinissimo a Bettino per poi aderire al movimento ambientalista dei Verdi, dunque restando nell'area di sinistra ma rivista e corretta. Ministro, presidente di Italia Nostra, commissario europeo, parlamentare, presidente della Biennale e, con Marina, presenzialista a prescindere di una Roma della grande bellezza e dei favolosi anni Settanta Ottanta, la stessa Roma poi deturpata che Carlo di Meana non poteva tollerare e accettare e contro la quale si batteva, contro la candidatura all'Olimpiade, contro la cricca del cemento, una battaglia per difendere i valori antichi, della natura e dell'uomo. L'uomo era rimasto solo quel giorno di gennaio in cui Marina se ne era andata, in silenzio, senza dirgli nulla del male atroce che l'aveva ormai vinta. Lucrezia e Andrea, quest'ultimo il figlio che avevano deciso di adottare, avevano aperto la porta della stanza da letto per avvisare Carlo di quella fine, ma in quello stesso momento, il televisore acceso aveva annunciato la notizia. Improvviso, il silenzio e, immediate, le lacrime disperate di un uomo definitivamente solo con la sua malattia e una vita ormai logorata e di assenze, senza più il sorriso e la voce stridula di Marina.

E presero a sfilare, come un treno in corsa, i fotogrammi e le memorie mille, dell'amore fortissimo e dei litigi grandiosi, quella volta a Parigi quando lei, gelosa ai massimi di ombre e di voci, gettò dal balcone dell'hotel gli indumenti tutti, pigiama e mobilia compresi, perché il marito si era permesso una visita ad una amica, forse una tresca clandestina chissà e i poliziotti cercarono di capire perché quella signora bella desse di matto.

E altri coriandoli coloratissimi di una coppia unica, per l'eleganza eccentrica e mai conformista, negli abiti e nel portamento.

Carlo aveva scritto poche parole, un preannuncio: «Quando ci incontreremo dall'altra parte ci rimetteremo insieme». L'attesa è durata due mesi soltanto.

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