In quella "casa" che si chiama scuola pronti a costruire un 2017 di speranza

Il nuovo anno si preannuncia carico di impegni, ma sapremo affrontarli

In quella "casa" che si chiama scuola pronti a costruire un 2017 di speranza

Eccoci qua. Anche quest'anno è arrivato il tempo degli auguri e dei bilanci ed inevitabilmente, un po' per tutti, iniziano a scorrere veloci i pensieri sull'anno che sta per finire e le prime riflessioni sull'anno che verrà.

Compiti a casa non se danno, è vero, durante le vacanze di Natale. Ma non ci possiamo neppure nascondere dietro il dito, perché se molti cassetti stanno per chiudersi, altrettanti cassetti ripieni di pensieri, progetti, speranze, sogni, accatastati alla rinfusa in mezzo a cianfrusaglie gioiose, dovranno necessariamente essere aperti: è ora di puntare alla luna!

Gianburrasca si è preso forse troppo presto una pausa.

Una di quelle parentesi da cui si può tornare, chissà, rafforzati in maturità e consapevolezza, speriamo.

Noi però non sappiamo quanto possiamo ancora aspettare.

Quanto a lungo possiamo resistere in questa nostra battaglia di frontiera.

Giustizia e dignità reclamano che la scuola sia un diritto possibile anche per chi vuole scegliere. Sempre nell'ambito di standard pedagogici e didattici di eccellenza, s'intende.

Ma con la libertà di chi pretende un orientamento educativo che ruoti davvero intorno alla verità e possa interpretare con occhi sinceri la realtà. Senza per esempio dover subire a tutti i costi l'influenza modaiola del relativismo e del particolarismo.

E come sappiamo non sarebbe neppure così complicato trovare una formula che dia sostegno finanziario a questa libertà.

Non servono intuizioni profetiche, anche perché profeti in giro non se ne vedono, basterebbe trasferire un po' di risorse a costi standard da un sistema rigido a un sistema aperto tramite il modello dell'accreditamento istituzionale. Il saldo di questo scambio tra libertà e risorse alla fine sarebbe tra l'altro sicuramente vantaggioso per tutti.

Noi non vogliamo più essere ricordo ellenistico della decapoli a statuto speciale in territorio straniero. Noi vogliamo essere semplicemente casa.

In ebraico, come sappiamo, bet significa casa e Betlemme è la casa del pane. Aldilà di tutti i significati profetici di questo nome, la casa è il luogo dove si nasce e si cresce, dove da adulti si custodiscono e si coltivano identità e intimità. Solo a casa ci si sente sicuri, non precari. Altrove si alberga, si passa, ci si ferma.

Ecco noi invece, lo ripetiamo, vorremmo essere e sentirci a casa.

Non possiamo più vivere da nomadi in terre inospitali. Sempre alla ricerca di un oasi dove attendere il permesso di far riposare le nostre greggi. I nostri quaranta anni di deserto e di esilio d'Egitto ormai li abbiamo trascorsi.

Il periodo di prova può finire, insomma. Per uscire dalla palude e dall'immobilismo abbiamo bisogno di ardore, che consegue all'operare della mente. Un tepore, un sentimento che rende vivi, e sta all'origine, secondo gli uomini vedici, non solo del pensiero, ma del mondo. Se non saremo in grado di trovare questa strana entità che arde, non ci sarà pensiero e non ci sarà vita.

Dobbiamo contare sulla leva di forze e di coraggio che custodiamo nel dna del nostro popolo: un rilancio di virtù civili che partono dal profondo della nostra coscienza, e non da semplici pulsioni individuali. Siamo consapevoli che questo comporterà maggiori responsabilità. Appena mangiarono i prodotti della terra la manna cessò, dice la Bibbia. Ecco questo è l'augurio che voglio fare a tutti noi.

Ritrovare la consapevolezza della fatica dolce di chi può essere e fare casa.

La responsabilità di essere focolare, certezza. Un luogo aperto, accogliente, accuditivo e sempre in ordine. Allegro e serio al tempo stesso. Pronto ad abbracciare tutti, davvero tutti, quelli che vogliono vivere con libertà le loro scelte educative.

E mi pare anche che qualche ottimo segno di continuità al timone del nostro principale interlocutore istituzionale ci sia.

Speriamo davvero che sia l'anno buono il 2017.

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