Roma - Con indubitabile sprezzo del pericolo (leggi: ridicolo), il capo politico nonché candidato premier finora «unico» dei Cinquestelle chiude ufficialmente il forno della Lega, accusata un nanosecondo dopo di «aver deciso di condannarsi all'irrilevanza per rispetto del loro alleato».
Quello che dovrebbe essere titolo di merito, indice di serietà e lealtà, diventa per Luigi Di Maio colpa nei confronti degli elettori, che avrebbero dovuto apprezzare piuttosto il salto della quaglia di Salvini, in totale assenza di peso. L'insostenibile leggerezza dimaiesca è la medesima con la quale ora egli stesso persegue (anzi insegue) l'apertura del nuovo forno pidino. Sì, ci sono profonde differenze, ma che volete che siano. «Sui temi noi ci siamo». Il capo politico di M5s apprezza con fulmineo entusiasmo le parole del segretario Martina, che «vanno verso un'apertura» e pone già un paletto che la dice lunga sulla fattibilità di una trattativa: il contratto eventualmente concluso con gli odiati (fino a ieri) avversari renziani «dovrà essere ratificato dai nostri iscritti sulla piattaforma Rousseau». Ovvero, dopo due mesi e magari dopo un'estenuante trattativa conclusa con il Pd, Di Maio si rimetterebbe ancora una volta al giudizio insindacabile di una piattaforma web sulla quale bazzicano una decina di migliaia di iscritti, non sempre attendibili (almeno quanto lo è il funzionamento della piattaforma stessa, finita spesso ko per le scorribande degli hacker). Ciò che propone di Maio, in realtà, è che sia Casaleggio o chi muove i fili «da remoto» a decidere se il contratto potrà esser validato oppure no.
Sembra una burletta. Se non fosse che la petulanza dimaiesca non nascondesse una profonda difficoltà nella quale il candidato premier da ieri sembra dibattersi. Segni premonitori, una dichiarazione del saggio deputato Emilio Carelli, per il quale «la figura di Renzi è imprescindibile». Guarda caso, proprio il nemico giurato di Di Maio, colui che ne aveva chiesto la testa per poter intavolare una trattativa. Siamo perciò a una possibile svolta, che promette di far maturare il «cambio del cavallo in corsa», come ieri si discuteva nei conciliaboli alla Camera, con il Pd che già lavora all'obbiettivo. Settori pd più favorevoli all'accordo con i grillini, tipo Boccia, ritengono del tutto «indifferente» che Di Maio sia premier o no, alludendo alla possibile discesa in campo del presidente della Camera, l'esploratore Roberto Fico, che ieri ha assistito impassibile allo scomposto balletto di Di Maio.
Al Nazareno un governo «targato» in modo differente dall'«abbiamo vinto e ci tocca Palazzo Chigi», capeggiato da Fico, sarebbe ben più digeribile, aprendo anche la possibilità di ottenere in cambio la poltrona di Montecitorio. Ci si metterebbe in contatto con il settore «più ortodosso», ma anche più politicamente «strutturato» di M5s, con ottime relazioni con Leu (che ieri sfotteva Di Maio: «dica qualcosa di sinistra...»). Anche la tenuta del gruppo grillino, in caso di accordo con il Pd, potrebbe essere rassicurata dal nome dell'«ortodosso» Fico. È un «piano B» del quale si ragiona a Milano e Genova Sant'Ilario, centri decisionali grillini.
Di sicuro il Di Maio che in serata strepitava «o governo o urne, non daremo fiducia a governi tecnici, del presidente, di garanzia o di scopo, abbiamo 338 parlamentari e non possiamo stare all'opposizione», comincia a mostrare il nervosismo che acceca chi vuol perdere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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