Cronache

Caso Aquarius, perché la procura di Catania ha fatto ricorso in Cassazione

I magistrati di Catania, guidati da Carmelo Zuccaro, elencano le motivazioni per cui è stato presentato il ricorso in Cassazione dopo l'annullamento del sequestro dei conti di Francesco Gianino

Caso Aquarius, perché la procura di Catania ha fatto ricorso in Cassazione

A occuparsi del caso Aquarius sarà la Corte di Cassazione. Qualche ora fa, infatti, la procura di Catania, diretta da Carmelo Zuccaro, aveva presentato ricorso contro la decisione del tribunale del Riesame, che disponeva il dissequestro dei conti della nave, finita sotto inchiesta per un presunto traffico illecito di rifiuti.

"È censurabile sotto vari profili", si legge, il provvedimento del tribunale del Riesame di Catania, con il quale i giudici hanno annullato il decreto del gip, che disponeva il sequestro di 200mila euro da due conti correnti intestati a Francesco Gianino, l'agente marittimo indagato nell'ambito dell'inchiesta sull'Aquarius.

"Argomenti contradditori e non condivisibili"

Secondo i pm catanesi "gli argomenti" adottati dal Riesame sarebbero "contraddittori e non condivisibili": "Un primo dato incontestato e riconosciuto dal tribunale è che l'attività di smaltimento illegale si è perfezionata attraverso numerose operazioni, protattesi nel tempo", hanno scritro i pm Andrea Bonomo e Alfio Fragalà, che hanno firmato il ricorso. E aggiungono: "Tale protratto e continuativo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi, a rischio infettivo, ha richiesto, secondo questo pm, la predisposizione di appositi mezzi e attività organizzate, al fine di conseguire un ingiusto profitto".

Il ruolo di Gianino per i pm catanesi

Secondo quanto riportato da Repubblica, per i magistrati "appare decisivo il ruolo di Gianino, il quale, nella qualità di agente marittimo di Msf-Ocb e Msf-Oca, attraverso la costituzione di una rete di sub-agenzie marittime, tutte collegate all'agenzie Msa di Augusta di proprietà del medismo Gianino e operanti in svariati porti italiani nei quali le motonavi Vos Prudence e Aquarius effettuavano gli sbarchi dei migranti, concordava con i rappresentanti delle Ong di procedere allo smaltimento indifferenziato dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo, sanitari e no, prodotti a bordo delle predette navi, conferendoli unitamente ai rifiuti solidi urbani a una tariffa molto più vantaggiosa, previa falsa classificazione degli stessi quali generici rifiuti speciali".

L'accusa della procura

Per la procura di Catania, poi, "come pacificamente emerso dalle indagini e confermato anche dallo stesso tribunale del Riesame, Gianino, pur consapevole della presenza, a bordo, di rifiuti a rischio infettivo e della necessità di sottoporli a un trattamento differenziato, concordava con i rappresentanti delle Ong tariffe vantaggiose, pari a 8 euro per ciascun sacco di rifiuti solidi indifferenziati, la cui applicazione derivava proprio dalla fraudolenta e abusiva classificazione dei rifiuti sanitari e non a rischio infettivo sotto la generica etichetta di 'rifiuti speciali', ciò che ne consentiva lo smaltimento unitamente agli altri rifiuti solidi prodotti a bordo delle navi". Applicando questo sistema di classificazione indebita e di conferimento indifferenziato dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo, Gianino, secondo i magistrati, "offriva alle Ong, gravate da stringenti esigenze di bilancio, tariffe competitive, tali da consentire alle stesse di realizzare consistenti risparmi di spesa, mentre il medesimo Gianino acquisiva una sorta di esclusiva di fatto nella gestione dei rapporti di agenzia marittima per conto di Msf-Ocb e Oca, nonché per conto di altre Ong (Save the Children, Open Arms), tanto da aumentare significativamente il proprio volume d'affari".

Da dove deriva l'illecito

Per i magistrati, le considerazioni del tribunale sono, dunque, "errate e contraddittorie".

Se "l'avvenuta illecita miscelazione dei fiuti comportava l'obbligo di smaltimento di tutti i rifiuti prodotti, secondo le più stringenti e onerose regole dettate per i rifiuti sanitari pericolosi", scrivono i pm, "ne consegue che l'illecito profitto è costituito dalla differenza tra il costo sostenuto per smaltire tutti i rifiuti come solidi urbani (perché così falsamente dichiarati) e quello che avrebbe dovuto essere sostenuto se fossero stati correttamente classificati come rifiuti sanitari pericolosi".

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