Il caso Galan è il simbolo di una giustizia folle

Giancarlo Galan è stato governatore del Veneto per quindici anni con il centrodestra. Ha fama di persona onesta e lui stesso respinge l'accusa che gli è rivolta e a causa della quale sta attraversando un momento (...)

(...) difficile della sua vita.

A seguito di una dichiarazione dell'ingegnere Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, promotore del Mose - il sistema attraverso il quale, regolando le maree in laguna, si impedirebbe il tradizionale allagamento di Venezia in tali circostanze - sarebbe, infatti, stato deciso di corrispondere al governatore una tangente di un milione di euro all'anno per cinque anni (dal 2008 al 2011) allo scopo di facilitare l'esecuzione del Mose. Galan è finito in carcere, malgrado fosse parlamentare, dopo una rapida autorizzazione da parte della Camera, senza che potesse difendersi in aula, e fosse seriamente infermo. La sua reputazione personale e politica e le condizioni economiche della sua famiglia sono completamente rovinate. Ma nessuno ha chiesto a Mazzacurati - autorizzato, poi, a partire per la California - ragione delle sue affermazioni, né a Galan come fosse eventualmente venuto in possesso, e da parte di chi, della somma. È uscito dal carcere, dietro patteggiamento, senza avere subito alcun processo o avere fatto valere la propria innocenza di fronte a qualche magistrato e che alcun giornale abbia sollevato il suo caso. Né la magistratura, né nessun altro si è chiesto, ad esempio, perché mai si fosse deciso di dare una grossa tangente a chi - il governatore del Veneto - non aveva alcun potere di influenzare i lavori del Mose, dato che essi erano stati decisi dallo Stato e il loro avanzamento dipendeva dagli organi statali. L'avere inoltre patteggiato, per uscire dal carcere, è stato interpretato, secondo un luogo comune, come un'ammissione, da parte sua, di colpevolezza, mentre, in realtà, era stata la conseguenza dell'esigenza di far fronte alle precarie condizioni di salute in cui si trovava: si era rotto una gamba ed era stato tradotto in carcere in ambulanza.

Ora, Galan reclama giustizia e a me pare sia giusto parlarne e chiedere che, almeno, ne sia fatta chiarezza. «Se un magistrato - sostiene l'ex governatore - avesse avuto un minimo di curiosità, interrogando il presidente della Regione Veneto, mai sfiorato, in precedenza, da un avviso di garanzia, avrebbe potuto scoprire cose interessanti e utili per le indagini. Ma non lo ha fatto». Viene, così, a galla ciò che io stesso vado sostenendo da tempo: la malagiustizia non sempre è conseguenza di una qualche dipendenza psicologica, o ideologica, di una parte della magistratura nei confronti della politica; è, piuttosto, l'effetto della scarsa preparazione di qualche magistrato ad affrontare il caso cui è preposto per scarsa conoscenza persino del diritto che dovrebbe regolare la questione in oggetto. Il difetto sta nel manico e non è pensabile possa essere risolto con una semplice riforma del sistema giudiziario che separi chi inquisisce e accusa da chi giudica, se nessuno dei due è adeguato al compito che svolge.

Il difetto sta nel modo col quale sono reclutati i magistrati - un concorso non di rado svolto con una certa approssimazione e senza una preparazione adeguata - che si arrabattano, poi, come possono. La riforma del sistema giudiziario - della quale tanto si parla e nulla si è fatto - dovrebbe partire, dunque, dal sistema di reclutamento, cioè dalla revisione della natura del concorso.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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