Il caso nomine spacca il Pd. Matteo stoppa l'intesa con Fi

Ma i renziani giurano: Gentiloni non c'entra nulla

Il caso nomine spacca il Pd. Matteo stoppa l'intesa con Fi

Roma - Sabato pomeriggio da Rimini Matteo Renzi lancerà la sua campagna di primavera. Il segretario Pd attende la pronuncia della Consulta sulla legge elettorale per poter avviare i motori della trattativa in Parlamento, con l'obiettivo che resta il voto a giugno. Obiettivo non facile, ma che può contare su argomento che viene preso attentamente in considerazione a Palazzo Chigi e al Quirinale. La prossima legge di Stabilità, da presentare in autunno, sarà pesante: dovrà dare risposta alle correzioni chieste dall'Ue e ai contraccolpi di una pesante serie di calamità naturali che si stanno abbattendo sul paese. Per farla, ci vuole «un governo legittimato dal voto», dicono nel Pd, e sufficientemente forte da far fronte alle proteste delle opposizioni populiste. E lo stesso presidente della Repubblica si starebbe convincendo, secondo alcune voci, che fare la nuova legge di stabilità subito prima del voto potrebbe regalare un pesante argomento di campagna elettorale a Grillo e compagnia.

Un voto ad ottobre viene però considerato difficilmente praticabile, per ragioni sia tecniche (bisognerebbe sciogliere le Camere in estate, e si rischierebbe di non avere i tempi per la Finanziaria) che politiche (le pensioni dei parlamentari maturano a settembre, altro argomento che non si vuole regalare ai grillini), dunque resta solo giugno. A meno di non voler andare alla scadenza naturale di febbraio 2018, che è quello che Renzi vuole evitare.

Sabato e domenica a Rimini è convocata l'assemblea degli amministratori locali Pd. L'obiettivo è iniziare la campagna per la tornata di Amministrative ma la presenza di Matteo Renzi (oltre a parecchi ministri del governo) al primo intervento pubblico del leader Pd dopo la batosta referendaria, ne fa un appuntamento politico e l'occasione per lanciare l'agenda. Alla luce della sentenza sull'Italicum che, come spiega il renziano Dario Parrini, «ci darà finalmente un'idea chiara dei confini entro cui ci possiamo muovere per trattare». Interlocutore principale resta Forza Italia, con cui nessuna trattativa esplicita è ancora iniziata: Berlusconi però ha già detto cosa gli sta a cuore, dal proporzionale (inevitabile senza ballottaggio) all'eliminazione delle preferenze. Il Pd vorrebbe rendere più accessibile il premio di maggioranza, che ha una soglia del 40%, e sui listini «brevi» per superare le preferenze è disponibile a discutere.

Il leader Pd ovviamente vuole essere il regista della trattativa post-Consulta. Per questo, spiegano i suoi, ha stoppato in queste ore una felpata manovra in Senato sull'elezione di un membro Agcom: il capogruppo Pd Zanda aveva dato via libera ad un candidato indicato da Forza Italia, ma ieri il Pd si è messo di traverso: «Nessun accordo con FI su un terreno - le comunicazioni - in cui è forte il sospetto di un conflitto di interessi».

Ma si assicura «nessuna tensione con Palazzo Chigi», che secondo alcuni restroscena avrebbe avallato la manovra per avere vita più facile in Senato. «Gentiloni, con questa storia, non c'entra nulla», assicurano i renziani.

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