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La cassa, i pizzini e la latitanza "Rosetta", l'alter ego del boss

La sorella arrestata: in casa un biglietto che ha portato al padrino. I consigli contro le microspie, le parole sulla figlia

La cassa, i pizzini e la latitanza "Rosetta", l'alter ego del boss

Ragusa. «Donna d'onore», punto di riferimento per il fratello Matteo Messina Denaro, a cui ha consentito di comandare Cosa nostra in latitanza, la sorella primogenita «Rosetta» al secolo Rosalia, è stata inconsapevolmente fondamentale per gli inquirenti.

L'arresto del super latitante prende avvio da un «pizzino» rinvenuto nell'abitazione di via Alberto Mario a Castelvetrano, casa di famiglia del boss dei boss, in cui vive ancora oggi Rosalia. Vi erano annotazioni su chemioterapia, chili persi, interventi chirurgici, date. Era nascosto nel cavo di una gamba di sedia svitabile, dove gli investigatori volevano occultare una microspia. Un'autentica «truvatura» (tesoro nascosto) per gli inquirenti, che hanno potuto lavorare su numerosi pizzini fotografati e rimessi nell'intercapedine, tra cui uno scritto dallo stesso padrino. Dimostrazione evidente che la donna lo aveva incontrato. Anzi, per il gip Alfredo Montalto, che concorda con la procura, Rosalia non era una fiancheggiatrice, ma addentro a Cosa nostra. Mamma di Lorenza Guttadauro, l'avvocato che assiste lo zio Messina Denaro, e di Francesco, nipote prediletto del padrino, che sta espiando una condanna a 16 anni per mafia, Rosalia è «donna di origini e tradizioni tutte ispirate da una ortodossa e granitica cultura mafiosa, a cominciare dal matrimonio con l'uomo d'onore Guttadauro Filippo, a sua volta appartenente alla importante e blasonata famiglia di Cosa nostra composta dagli altri uomini d'onore Giuseppe (potentissimo capo del mandamento di Brancaccio) e Carlo (componente di spicco della famiglia mafiosa di Bagheria)».

Si occupava di dirimere questioni familiari e di custodire la «cassa» rendicontando entrate e uscite. Almeno negli ultimi 10 anni, era lei a occuparsi dell'onorario dei legali, del sostegno a detenuti e famiglie e di tutto il resto. In un pizzino il capomafia sottrae 12.400 ai 64.100 di cassa riferiti al 2015 e così via, e annota a Rosalia: «Per il prossimo periodo devi spendere di nuovo 12.400. Non di più. E mi fai sempre lo spekkietto finale. Così quanto è la cassa». Nei pizzini di rendicontazione del 2011 e 2012 c'è uno stipendio mensile di 1.500 euro per F. che per gli inquirenti è Franca Alagna, madre di Lorenza, avuta da Messina Denaro. Di Lorenza lui scrive con rammarico in una lettera alla sorella del 15 marzo 2022 perché, a differenza di un'altra ragazza, ha rinnegato la mafia. «È l'ambiente in cui cresci che ti forma scrive e lei è cresciuta molto male». E ancora: «La mancanza del padre non è di per sé motivo di degenerazione educativa, è solo Lorenza che è degenerata nell'infimo, le altre di cui so sono tutte cresciute onestamente».

«Perfettamente integrata in questa mentalità è Rosalia, punto di snodo scrive il gip - delle comunicazioni del fratello latitante, non soltanto con i membri della sua famiglia di origine, ma, soprattutto con un elevato numero di soggetti a vario titolo coinvolti nelle attività di interesse di Cosa nostra di cui il latitante costituiva e ha continuato a costituire sino al suo arresto il vertice incontestato e incontrastato». Consapevole del delicato ruolo della sorella a cui è legato affettivamente, il capomafia si riferisce a lei col nome di Fragolone, per evitare che venga identificata qualora un pizzino sia intercettato. I pizzini in possesso degli inquirenti, rivenuti anche nella casa di campagna di Rosalia e nel covo del padrino in vicolo S. Vito a Campobello di Mazara, sono numerosi. Ce n'è uno che conferma quanto da sempre ipotizzato sulla connivenza di qualche divisa. Vi sono dettagli tecnici che il boss scrive alla sorella per individuare le telecamere nascoste. A uno affida una «regola della mia vita»: «Non si deve mai tornare da una persona dalla quale ci siamo allontanati». Un pizzino dà contezza della smisurata autostima del padrino- «Un essere umano muore veramente quando viene dimenticato e io credo che non lo sarò mai - scrive -. Le persone che ho amato, i miei affetti non si dimenticheranno mai di me».

Ovviamente, neanche le famiglie delle vittime a cui lui non pensa.

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