Cassazione contro i pm: "Mediaset fu vittima"

Non ci fu frode fiscale. Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi non avevano responsabilità

Cassazione contro i pm: "Mediaset fu vittima"

Milano - Mediaset non fu colpevole ma vittima, nel caso dei diritti tv comprati dalle major hollywoodiane. È una rilettura-ribaltone, quella compiuta dalla Cassazione della lunga e complicata vicenda processuale imbastita dalla Procura di Milano scavando sui rapporti tra il gruppo del Biscione e i fornitori dei film da trasmettere sulle sue reti. I giudici della Suprema Corte, nelle motivazioni depositate ieri, non si limitano a spiegare perché hanno annullato le condanne inflitte dalla Corte d'appello di Milano a Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi, che erano stati dichiarati colpevoli di frode fiscale. La Cassazione va più in là, e scrive nero su bianco che non ci fu alcuna frode fiscale, perché i costi messi a bilancio erano stati realmente sostenuti, e che di un eventuale ricarico effettuato su quei costi Mediaset fu semmai la vittima, quando effettuò «l'ammortamento di costi effettivamente sostenuti dall'azienda (e alterati da terzi in danno della stessa)». Più o meno quel che i legali del gruppo sostengono da sempre.

Il preannuncio del ribaltone era arrivato il 18 ottobre scorso, quando i giudici della seconda sezione penale avevano emesso il dispositivo che annullava le condanne a un anno e due mesi di carcere inflitte nel marzo 2016 a Berlusconi junior e Confalonieri dalla Corte d'appello di Milano. Alla procura milanese non era stato concesso neanche il contentino di un processo-bis, destinato probabilmente a chiudersi con la prescrizione: condanne annullate «senza rinvio», «perché il fatto non costituisce reato». D'altronde già il tribunale di Milano, nel processo di primo grado del 2014, aveva ritenuto indimostrate le accuse nei confronti dei due imputati. Ma il pm Fabio De Pasquale aveva fatto ricorso, e la Corte di secondo grado gli aveva dato ragione: colpevoli.

Ora su quella sentenza piombano i giudizi sferzanti della Cassazione, che liquida come «mere congetture» quelle che per i giudici milanesi erano prove inoppugnabili. La condanna di «Fidel» e Pier Silvio era stata emessa, scrive la Cassazione, «attribuendo agli imputati una sorta di responsabilità da posizione», ovvero ritenendo che, date le cariche ricoperte nel gruppo, «non potevano non sapere».

In conclusione, scrive la Suprema Corte, il verdetto di condanna «si pone al di sotto dello standard motivazionale», modo elegante per dire che non sta in piedi.

In questo troncone Silvio Berlusconi non era imputato, essendo stato prosciolto già al termine delle indagini preliminari.

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