La Cassazione distrugge il teorema dei pm su Milano. E Catella resta in libertà

Per la Suprema corte non esiste alcuna "cupola" politico-affaristica dietro la vicenda lombarda. Senza fondamento il blitz che a luglio portò agli arresti di sette persone, tra cui un ex assessore

La Cassazione distrugge il teorema dei pm su Milano. E Catella resta in libertà
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La Cupola (i pm l'avevano chiamata proprio così) politica e affaristica che governava l'urbanistica milanese esisteva solo nelle teorie della Procura della Repubblica. Ieri mattina dalla Cassazione arriva l'ordinanza che azzera definitivamente il blitz con cui il 31 luglio erano stati arrestati i sette indagati che per la squadra inquirente guidata dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano erano i principali responsabili dell'asservimento ai poteri forti dello sviluppo edilizio nel capoluogo lombardo.

Agli arresti domiciliari erano finiti il costruttore Manfredi Catella (foto a sinistra, l'ex assessore Giancarlo Tancredi (foto a destra) e altri quattro indagati; il costruttore Andrea Bezziccheri si era visto rinchiudere a San Vittore dove era rimasto per dodici giorni. La retata era stata annullata nei giorni successivi dal tribunale del Riesame, che uno dopo l'altro aveva liberato tutti gli arrestati: e già allora per la Procura la botta era stata forte. Ma la Siciliano e i suoi pm non si erano arresi, e avevano portato lo scontro fino in Cassazione, sostenendo che a Milano esisteva uno "spartizione organizzata delle aree e degli immobili", accusando i giudici che avevano liberato i sette indagati della "omissione radicale dell'analisi di elementi decisivi" e concludendo con una affermazione impegnativa: "Disconoscere quanto sopra equivale a disconoscere lo Stato di diritto".

Dietro la durezza delle espressioni, si intuiva quanto decisivo fosse diventato per la Procura vincere lo scontro, per tenere alta l'inchiesta-simbolo della sua vocazione moralizzatrice, quella che l'ha messa in rotta di collisione con la giunta guidata dal sindaco Beppe Sala. Ma il ricorso in Cassazione ieri si traduce in un boomerang, perchè l'annullamento definitivo delle ordinanze di arresto mette ora a repentaglio i processi che comunque i pm intendono portare avanti: ma che, sparito il teorema della Cupola, rischiano di ridursi a banali processi per abusi edilizi.

Il rischio di una bocciatura per la Procura era diventato palpabile già la settimana scorsa, quando era stato depositato il parere che la Procura generale della Cassazione - ovvero il massimo organo della pubblica accusa - aveva depositato in vista dell'udienza: un parere che smontava alla radice le tesi dei pm milanesi, definendo "logica e immune da vizi" la decisione del tribunale del Riesame, che non "trascura alcun elemento di prova offerto dalle parti", e arriva alla conclusione: a Milano esiste una "eccessiva vicinanza tra parte pubblica e parte privata a causa del gran numero di contatti impropri tra politici e costruttori" (ben raccontata, va detto, dalle chat tra Catella e il sindaco Sala). Ma la corruzione è un'altra cosa.

A Milano in Procura l'avevano presa male, ma avevano continuato a sperare che i giudici della Sesta sezione della Suprema Corte la pensassero diversamente. E invece no. L'udienza di mercoledì è a senso unico: la procura generale ribadisce il suo no al ricorso dei pm milanesi, gli avvocati degli indagati chiedono la stessa cosa, e la Corte accoglie le loro tesi. C'è un dettaglio importante che dice come la Cassazione sia andata ancora più in là di quanto temeva la Procura milanese. Oltre a cancellare le ordinanze di arresto, i giudici annullano anche l'ultimo provvedimento che il Riesame aveva lasciato in piedi, l'interdizione dagli uffici pubblici di tre inquisiti tra cui l'ex assessore Giancarlo Tancredi, nei cui confronti erano stati confermati se non altro gli indizi di colpevolezza. La Cassazione elimina anche quelli. Bisognerà ora attendere il deposito delle motivazioni per capire esattamente quanto duro sia il colpo inferto all'inchiesta milanese.

Di certo, che la Sesta sezione abbia dichiarato il ricorso "inammissibile" (avrebbe potuto limitarsi a respingerlo) fa capire che mancavano totalmente le basi per mettere in discussione l'ordinanza di liberazione degli arrestati.

Nel corso dell'udienza a porte chiuse, peraltro, i difensori degli indagati avevano sottolineato un "buco" rilevante nel ricorso della Procura milanese: mai, neanche in una riga, veniva spiegato quali fossero le esigenze cautelari, i motivi che - ad indagine già in stato avanzato - rendevano indispensabile arrestare i sette. Anche questa grave lacuna può avere portato alla drastica decisione di ieri mattina.

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