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La Cassazione elogia Carola. Un'altra picconata a Salvini

La Suprema Corte giustifica la capitana che speronò una motovedetta: "Ha rispettato il dovere di soccorso"

La Cassazione elogia Carola. Un'altra picconata a Salvini

Carola Rackete poteva fare tutto quello che ha fatto: anzi, doveva farlo, in nome della legge del mare. Doveva salvare i migranti imbarcandoli sulla Sea Watch, e portarli a tutti i costi in un porto sicuro, anche a costo di speronare una motovedetta della Finanza. È una assoluzione che somiglia a una medaglia la sentenza che ieri dalla Cassazione arriva sul caso della «capitana» tedesca che il 29 giugno entrò a motori spiegati nel porto di Lampedusa col suo carico di esseri umani. E se Carola è innocente, a uscire malconcio - indirettamente ma chiaramente - dalla sentenza di ieri è Matteo Salvini, che allora era ministro dell'Interno e in tale veste si oppose in ogni modo allo sbarco della Sea Watch; riservando poi alla Rackete giudizi così severi («sbruffoncella, criminale») da finire sotto inchiesta per diffamazione. E infatti ieri Salvini reagisce aspramente alla decisione della Suprema Corte.

La Cassazione ha confermato e fatto propria, respingendo il ricorso della Procura, la decisione del giudice preliminare di Agrigento che il 3 luglio aveva annullato l'arresto della Rackete, che dopo lo sbarco era stata prelevata dalla Finanza e portata ai domiciliari. Secondo la Cassazione, «l'obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale Sar di Amburgo non si esaurisce nell'atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro». Forzando il blocco delle fiamme gialle, dunque, la comandante della Sea Watch agì «in una situazione nella quale la causa di giustificazione era più che verosimilmente esistente».

Per salvare la Rackete, i giudici avevano da superare uno scoglio particolarmente ingombrante, la accusa di violenza su una nave da guerra mossa alla donna per lo speronamento della motovedetta V808 della Guardia di finanza: una accusa (pena dai tre ai dieci anni) che la Procura di Agrigento continua a portare avanti e per la quale appena nove giorni fa ha chiesto la proroga delle indagini preliminari. Che la collisione sia avvenuta è pacifico. Ma per la Cassazione la V808 in quel momento non era una nave da guerra, perché sarebbe servito che al comando ci fosse un ufficiale: «non è sufficiente che al comando vi sia un militare, nella fattispecie un maresciallo, dal momento che il maresciallo non è ufficiale», scrivono i giudici.

È il passaggio della sentenza che meglio presta il fianco alla controffensiva di Matteo Salvini. «Quindi se c'è un maresciallo della Finanza ti posso spiaccicare contro un muro», dice il leader della Lega durante un comizio a Chieti. «Ma quelli rischiavano di essere schiacciati come vermi, incredibile, vi rendete contro dell'assurdità?», si indigna l'ex ministro.

A rendere indigesta per Salvini la sentenza è anche il momento delicato in cui cade, e che rafforza nell'ex ministro la sensazione di essere oggetto di una sorta di assedio giudiziario. Dopo l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti concessa dal Senato, Salvini deve fare i conti con il processo per sequestro di persona in corso nei suoi confronti davanti al tribunale di Catania per il caso della nave Gregoretti, con tutte le insidie che la gravità del reato porta con sé. Come si prevedeva, i tempi per vedere Salvini sul banco degli imputati si annunciano stretti.

Ieri dalla Procura di Catania viene annunciata la richiesta di fissazione dell'udienza preliminare nei confronti di Salvini. È un atto anomalo, non previsto dal codice: d'altronde è l'intero caso Gregoretti a muoversi lungo procedure inesplorate. La Procura, come è noto, non pensa che Salvini sia colpevole, ma è costretta ad andare avanti dalla decisione del Tribunale dei ministri di Catania, che ha respinto la richiesta di archiviazione.

La spiegazione più logica dell'annuncio arrivato ieri è che la Procura ritenga la decisione del Tribunale dei ministri equivalente, dopo l'ok del Senato, a una richiesta di rinvio a giudizio, e l'abbia trasmessa in questa veste all'ufficio del giudice preliminare. Il cui capo, Nunzio Sanpietro, ieri fa sapere che «sta studiando il fascicolo per la sua assegnazione».

Ma i tempi, anche qui, saranno stretti.

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