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Le casse del M5s sono a secco. Conte si scontra col caro-affitti

La sede in centro a Roma costa 12mila euro, troppi. E traballano la consulenza di Grillo e gli ex assunti

Le casse del M5s sono a secco. Conte si scontra col caro-affitti

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Anche Giuseppe Conte è alle prese con il caro affitti. Solo che in questo caso non parliamo di una camera in qualche appartamento condiviso oppure di un monolocale. Il M5s rischia di non potersi più permettere la sua sede a Roma. Stanze lussuosissime, tra stucchi dorati e mobili di pregio, il tutto a due passi da Montecitorio. Il quartier generale di Via di Campo Marzio costa 12mila euro al mese di affitto, troppi per un partito con le casse irrimediabilmente vuote. L'ambizione di Conte di disporre di una sede esclusiva ed elegante si scontra con la realtà delle finanze del Movimento.

I grillini, però, non andrebbero in tenda come gli studenti che protestano contro gli affitti da capogiro, ma sono pronti ad accontentarsi di una sistemazione più umile, forse più consona allo spirito francescano delle origini. Magari più piccola, meno lussuosa, un po' più distante dai Palazzi del potere. E infatti, ai vertici dei pentastellati, c'è chi ammette che sì, probabilmente «abbiamo fatto il passo più lungo della gamba». I dubbi sull'opportunità di rimanere nell'importante stabile di Via di Campo Marzio segnano un intoppo nella trasformazione del M5s da Movimento a partito tradizionale. Una situazione che fa il paio con le difficoltà di strutturarsi sui territori. Da qui i risultati deludenti alle amministrative e il nuovo record negativo registrato nella tornata del 14 e 15 maggio. Un 2% di media che ha fatto storcere il naso a molti eletti del M5s, che hanno parlato di dati «allarmanti». Nei gruppi parlamentari sono perplessi anche sulla strategia «autonomista» dei pentastellati nei confronti del Pd. «In questa fase dobbiamo fare la nostra strada», dice l'ex presidente della Camera Roberto Fico a Rai News24, chiudendo all'ipotesi di un'alleanza organica con i dem.

Ma torniamo ai soldi, croce e delizia del M5s. Sono molteplici i fattori alla base della crisi economica dei Cinque Stelle. Il principale è la falla nel meccanismo delle restituzioni. Come rivelato giovedì dal Foglio, il nuovo sistema dei versamenti è impallato. I deputati e i senatori, di fatto, non si tagliano più lo stipendio. E tra i morosi figura perfino lo stesso Conte. Il leader, però, sa bene che la gestione del partito è diventata troppo dispendiosa. Dunque, nell'attesa che riparta a pieno regime il meccanismo dei versamenti, lo stato maggiore ha cambiato di nuovo le regole. Dei 2500 euro al mese del taglio degli stipendi dei parlamentari, 2mila andranno nelle casse del partito e solo 500 euro saranno destinati alla collettività. Altro che restituzioni.

Il piatto piange. Deputati e senatori hanno le idee abbastanza chiare sulle cause della crisi. «Il tour di Conte per le politiche è costato troppo», abbozzano gli eletti a taccuini chiusi. Poi c'è il famoso contratto di consulenza con Beppe Grillo. 300mila euro all'anno che rischiano di essere ritoccati al ribasso. «In campagna elettorale non si fa vedere, noi non lo vediamo e non sappiamo cosa faccia per il M5s», denunciano ancora i parlamentari. Infine, ci sono le spese per il personale assunto dai gruppi di Camera e Senato.

Complici il calo dei consensi alle ultime politiche e il taglio degli eletti voluto dal M5s, sono diminuiti anche i fondi a disposizione dei gruppi. E potrebbero essere coinvolti nella spending review pure gli ex di lusso assunti a Montecitorio e Palazzo Madama. Due esempi? Vito Crimi e Paola Taverna, entrambi a libro paga a 70mila euro all'anno.

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