
In capo a Manfredi Catella non emergono "i gravi indizi di colpevolezza". E i corposi atti della maxi inchiesta sull'urbanistica milanese "non hanno dimostrato" l'esistenza di un patto corruttivo tra il Ceo di Coima e l'architetto e componente della Commissione paesaggio, Alessandro Scandurra. Lo spiegano i giudice del Riesame nelle motivazioni, depositate ieri, della decisione con cui hanno revocato i domiciliari inflitti all'immobiliarista dal gip Mattia Fiorentini. Motivazioni molto critiche nei confronti delle argomentazioni della Procura, così come lo erano state quelle - speculari - su Scandurra.
L'accusa di corruzione è relativa al caso del cosiddetto Pirellino, da un lato fortemente voluto dal committente Catella e dall'altro fortemente spinto - per l'accusa - nelle sedute della Commissione dal commissario-professionista Scandurra. Continua il tribunale del Riesame: "Non pare adeguatamente ricercata la genesi del patto corruttivo ritenuto dal gip con un percorso logico inverso; il Giudicante non ha proceduto all'accertamento preliminare del patto corruttivo (come, dove, quando) e della illiceità della dazione del denaro/utilità (...), per poi derivare da tali elementi la vendita della funzione pubblica e l'atto contrario ai doveri d'ufficio ma, muovendo dal supposto atto illegittimo, è giunto a ritenere automaticamente configurata l'esistenza del patto illecito: il rapporto economico diviene automaticamente prova del dovere di astensione e la sua violazione diventa prova dell'accordo corruttivo".
Ci sono stati, sì, contatti diretti tra l'immobiliarista e gli organismi comunali. Ma per i giudici, non sono sufficienti a ipotizzare illeciti. "Se è vero che nei giorni seguenti (le sedute in Commissione, ndr) Catella e soprattutto Boeri (progettista del Pirellino, ndr) contattavano Marinoni, l'assessore Giancarlo Tancredi ed anche il Sindaco Sala, in relazione a tale progetto, tuttavia il tenore delle varie chat è per la gran parte di interlocuzione e discussione sulle criticità tecniche del progetto". Emerge comunque "un contesto di rapporti a tratti impropri, a causa dell'eccessiva vicinanza tra la parte pubblica e quella privata, tuttavia da tali chat non emerge in alcun modo l'esistenza di accordi corruttivi sottostanti". Peraltro "non risulta alcun contatto o conversazione diretta tra Catella e Scandurra". Cioè, tra il presunto corruttore e il presunto corrotto. "Anche dalle chat estrapolate dal telefono di Catella, che fotografano le continue interlocuzioni dell'indagato con vari soggetti (diversi da Scadurra), come ad esempio quelle tra Catella e Tancredi, non si evince alcun elemento per poter ritenere operante un patto corruttivo sottostante e che l'ottenimento del parere favorevole della Commissione per il paesaggio in merito al progetto P39 fosse legato a tale pactum sceleris". Infine per il Tribunale, le remunerazioni da parte di Coima a Scandurra non sono indebite.
"Non sussistono concrete e pregnanti evidenze - prosegue l'atto - sulla base delle quali ritenere che gli incarichi di progettazione siano stati affidati a Scandurra in ragione della sua funzione pubblica e non dell'attività di libero professionista". Né "vi è traccia di sovrafatturazioni o di fatture false". In una nota Catella parla di "pronuncia chiarificatrice" sulla "insussistenza delle accuse ipotizzate" sulla "nostra estraneità".