Al pranzo di Arcore non arrivano notizie confortanti. Il patto tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio se non è chiuso è in fase avanzata e Forza Italia rischia di rimanere fuori sia dalla spartizione delle presidenze delle Camere che, soprattutto, dal futuro governo.
Silvio Berlusconi si sente un po' escluso un po' ostaggio, ma a Villa San Martino rimane il più battagliero, vede ancora spiragli. «Andrò a Roma mercoledì - dice - e tratterò in prima persona, per fare ragionare Matteo». L'ha già deciso quando parla al telefono con l'alleato leghista e fissa un vertice, anche con Giorgia Meloni, per fare il punto sulle trattative. Una chiacchierata «cordiale», dicono.
Ma c'è pessimismo tra gli altri a tavola, i figli Marina e Pier Silvio, l'amico Fedele Confalonieri, i fedelissimi Niccolò Ghedini e Licia Ronzulli, il neosenatore Adriano Galliani, sempre più presente negli affari di partito. Molti dubitano che si possa spezzare l'asse Lega-M5s.
In un'intervista al Corriere della Sera, il presidente dell'Europarlamento Europeo, Antonio Tajani, mostra le sue preoccupazioni: «Serve un governo stabile, che tuteli meglio gli interessi del Paese, a Bruxelles e da noi. Occorre una forza che sia protagonista del cambiamento in Europa: dev'essere il centrodestra e Fi rimane determinante per dare equilibrio, è l'unica garante di stabilità. Non si può cavalcare il reddito di cittadinanza, che è un disincentivo al lavoro. E andare a nuove elezioni produrrebbe un risultato fotocopia e non servirebbe a nulla».
Non porta buone notizie anche Gianni Letta, che a Roma continua le sue trattative riservate, rendendosi conto però che il mondo è cambiato e così le liturgie della politica. Certo, c'è la speranza che al Quirinale i piani grillino-leghisti s'infrangano contro gli ostacoli che potrebbe sollevare il presidente Sergio Mattarella. «Credo che ancora ci siano margini per realizzare un accordo diverso, prenderò in mano la situazione», insiste il Cavaliere. Che conta, anche stavolta, sul fattore B, cioè la sua personale capacità di persuasione, per richiamare l'alleato al patto di lealtà verso chi gli ha consento di essere oggi il candidato premier della coalizione. Per ora, sembra chiaro che Salvini non intenda rinunciare al vertice del Senato, per il suo consigliere Giancarlo Giorgetti o l'avvocato neoparlamentare Giulia Bongiorno, ma potrebbe avere ancora qualche «carta coperta». Di Maio, che alla Camera pare deciso a mettere il ricciuto Danilo Toninelli, l'ha aiutato a bruciare la candidatura dell'azzurro Paolo Romani, con il no a chi abbia procedimenti in corso (e il capogruppo di Fi a Palazzo Madama ne ha uno per peculato). «Probabilmente - dice uno dei più vicini al leader azzurro - l'ha fatto perché ha capito che il Pd sarebbe stato d'accordo e questo poteva preludere ad un appoggio esterno a un governo di centrodestra».
Rimangono, però, molte incognite. Che patto farebbero Salvini e Di Maio, dopo la spartizione dei vertici delle Camere? Per un governo, breve ma non troppo, che vari una legge elettorale e porti di nuovo al voto, con la convinzione di fare il pieno, pensano ad Arcore. «D'altronde, questa è l'unica cosa che li accomuna».
Ma con quale formula di governo: il leader della Lega lascerebbe a Di Maio Palazzo Chigi per fare il numero 2 o l'appoggerebbe dall'esterno? E per quale riforma elettorale? Un maggioritario con premio alla lista, che aprirebbe lo scenario in cui la Lega potrebbe correre da sola e cercare di fagocitare i voti di Fi o un premio alla coalizione, che invece renderebbe indispensabile per avere un centrodestra alle spalle? Salvini avrebbe chiesto quest'ultimo, Di Maio sarebbe contrario. Trovare l'accordo non è così facile. Eppure, fa sapere Salvini, il Cavaliere gli avrebbe dato mandato pieno a condurre la trattativa, anche a suo nome e anche con M5s.
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