Il Cav ignorava l'età di Ruby E non ci fu la concussione

Le motivazioni della sentenza d'appello bocciano le «congetture» dei pm: l'ex premier non sapeva che fosse minorenne. Alle feste spettacoli osé ma non c'è prova di rapporti

Congetture. Così, per due volte, i giudici della Corte d'appello di Milano liquidano quelle che per i loro colleghi del tribunale erano prove inconfutabili, e che portarono a condannare Silvio Berlusconi a sette anni di carcere per il caso Ruby. Ieri vengono depositate le motivazioni della sentenza d'appello che il 17 luglio scorso cancellò quella condanna e assolse Berlusconi da tutte le accuse. E si scopre che per la Corte d'appello erano (pagina 218) «congetture» quelle che portarono il tribunale a convincersi che il Cavaliere aveva minacciato i vertici della questura di Milano perché Ruby venisse rilasciata. E una «congettura non riscontrata» (pagina 324) era pure la tesi secondo cui Berlusconi, quando invitò Ruby alle allegre serate di Arcore, sapeva sicuramente che la ragazza era minorenne, perché glielo aveva detto Emilio Fede.

Vengono così demoliti i due pilastri della sentenza di condanna, ovvero la concussione ai danni del poliziotto Pietro Ostuni e l'utilizzo della prostituzione minorile: i comportamenti di Berlusconi non infransero il codice penale. Perché Berlusconi non minacciò nessuno: e d'altronde le prassi della questura milanese avevano (a differenza di quanto ha sempre sostenuto il pm Ilda Boccassini) «contorni alquanto elastici e tolleranti», il rilascio dei minorenni avveniva spesso, e l'unica conseguenza concreta dell'intervento del premier fu una «accelerazione» della liberazione di Ruby. E, per quanto riguarda i contatti ravvicinati tra il Cavaliere e la ragazza, se Berlusconi non sapeva che si trattava di una minorenne, tutto rientra nella sfera dei fatti privati: e, scrivono i giudici, «la minore aveva un aspetto fisico e comportamenti che non tradivano minimamente la sua minore età».

Ma cosa accadeva davvero, in concreto, nei dopocena di Arcore? Districandosi nelle cento verità diverse offerte da testimoni, intercettazioni, tabulati telefonici, i giudici arrivano a una conclusione per alcuni aspetti inattesa: ad Arcore non si copulava. Non si faceva sesso, almeno non nella accezione e completa del termine. Accadevano «atti sessuali», ma tutti - catalogati con una certa minuzia nella sentenza d'appello - non dissimili dallo spettacolo che può offrire un buon night club di provincia: «le prestazioni di carattere sessuale di cui possa ritenersi raggiunta prova sono esibizioni licenziose (spogliarelli, lap dance , simulazione di atti sessuali), toccamenti lascivi, baci, talvolta anche solo fugaci ammiccamenti o esibizioni a effetto del proprio corpo nudo o di parti di esso»; o ancora, «toccamenti del seno, glutei o altre parti intime (coperte o denudate), bagni di gruppo in piscina, baci». Secondo i giudici siamo oltre il contesto di «cene eleganti» descritto da alcuni testimoni della difesa; non era solo burlesque , e neppure ci si fermava a spettacoli «scollacciati», per usare la definizione nell'arringa dell'avvocato Coppi. Quegli «atti sessuali» costituiscono comunque episodi di prostituzione, sostengono i giudici, in una sentenza che stigmatizza i comportamenti del Cavaliere in quei mesi del 2010: quelli privati, nella casa di Arcore trasformata (secondo una intercettazione che la sentenza richiama più volte) in un «puttanaio»; quelli pubblici, quando intervenne sulla questura di Milano per chiedere un occhio di riguardo per la giovane marocchina.

«È sicuramente accertato che l'imputato abusò della sua qualità di presidente del Consiglio dei ministri simulando un interesse istituzionale al rilascio di Karima el Mahroug», scrivono i giudici d'Appello: «Silvio Berlusconi aveva un personale, concreto interesse a risolvere la questione con l'affidamento a Nicole Minetti, considerato che la ragazza frequentava da alcuni mesi la sua residenza di Arcore dove aveva assistito e partecipato ad atti sessuali a pagamento».

Il ruolo di Ruby viene definito parte integrante delle serate.

La fanciulla nega di avere partecipato agli strip, nessuno dice di averla vista al palo della lap dance : ma la sua precedente «attività di prostituzione» e il brusco innalzamento del suo stile di vita dopo le visite a Villa San Martino danno ai giudici la certezza logica che anche la ragazza partecipò in prima persona ai dopocena a luce rossa, perché c'è «perfetta compatibilità tra il tipo di spettacoli e interazioni a sfondo sessuale che si svolgevano nel cosiddetto “bunga bunga” di Arcore e i costumi disinibiti e le attitudini esibizionistiche di Karima el Mahroug».

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