Il Cav è stato assolto, però il pg lo tira in ballo

Milano«Un lupanare»: così, senza mezzi termini, il procuratore generale Pietro de Petris definisce la casa di Silvio Berlusconi ad Arcore all'epoca del «bunga bunga». Anche se il Cavaliere è uscito assolto dal processo d'appello per concussione e prostituzione minorile, ancora sulla graticola ci sono gli altri tre imputati nell'inchiesta sul caso Ruby: Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti. Tutti giudicati colpevoli in primo grado, e per cui ieri il pg chiede la conferma della condanna. E nel chiedere la condanna, per de Petris è giocoforza dipingere nel modo più crudo possibile Berlusconi e le serate che i tre imputati sono accusati di avere organizzato.

Se quello delle ragazze che si vendevano è un «turpe modo di comportarsi», e Ruby non era affatto una «vergine offerta al drago» ( copyright Veronica Lario) essendo da tempo del mestiere, nella requisitoria di de Petris il vero «cattivo» è comunque Berlusconi, che ha rapporti sessuali «con ragazze di cui potrebbe essere il nonno». Nelle serate «il copione che si recita è sempre lo stesso», con «livelli di bassezza totale». Per il pg è dimostrato che vi furono «interazioni sessuali delle ragazze con Berlusconi e tra di loro», e d'altronde «le ragazze erano carne da piacere per il presidente del Consiglio che provvedeva a palpeggiarle per saggiare la mercanzia». «Non è un quadro esaltante del genere maschile quello che viene fuori da questo processo, ma la vita è fatta così», sintetizza de Petris. Sono valutazioni simili a quelle che Berlusconi rischia di ritrovare anche nelle motivazioni della sua assoluzione, che la Corte d'appello dovrebbe depositare a breve: i giudici scriveranno che il Cavaliere non sapeva che Ruby era minorenne, e per questo ha schivato la condanna, ma per il resto diranno peste e corna delle sue abitudini postprandiali.

Nel frattempo, però, a rischiare il peggio sono Fede, Mora e Minetti. Per la ex consigliere regionale, il pg chiede la conferma della condanna a cinque anni di carcere: ben sapendo che la sentenza di primo grado è un «coacervo di imprecisioni» che potrebbero permettere alla Minetti di portare a casa l'assoluzione. Sette anni la richiesta anche per Emilio Fede, ex direttore del Tg4, accusato di avere avuto un ruolo decisivo nel portare Ruby ad Arcore. Parecchio diversa la posizione di Lele Mora, ex agente delle star della tv, che già dal processo di primo grado sta cercando di «smarcarsi» dai suoi coimputati, facendo una serie di ammissioni. La realtà è che Mora, già gravato da una condanna a cinque anni per bancarotta, è terrorizzato dall'idea di tornare in carcere, e teme di fare la stessa fine del suo ex pupillo Fabrizio Corona, sepolto da ondate di sentenze successive.

Così cerca di trattare con la pubblica accusa, chiedendo di cavarsela con un forfait che tenga insieme le due vicende. D'altronde, spiegano i suoi legali, in fondo Mora portava le ragazze ad Arcore perché sperava che Berlusconi lo aiutasse a evitare la bancarotta della sua agenzia: «Vi sono risorse non trasparenti e rilevanti che il Mora già si prefigurava come il ritorno derivante dalla sua disponibilità a farsi carico del compito di rendere le feste di Arcore gradevoli e ben accompagnate da donne piacevoli.

Questa attività collaterale alla sua professione veniva svolta con lo scopo di rendersi quasi indispensabile per la buona riuscita di quegli eventi», grazie alla «gestione border line delle giovani donne». Il pg prende atto positivamente della resipiscenza di Mora, e lo propone per 7 anni e tre mesi di pena complessiva.

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