nostro inviato a Spoleto (Pg)
«Barzelletta? Barzelletta!». Silvio Berlusconi si china e sussurra all'orecchio di un giovane uomo in carrozzina una breve storiella delle sue. Nessun altro la ascolta. Ma il tizio sorride estasiato, poi ride. E non sembra per educazione.
La precedente scena potrebbe essere stata osservata in un qualsiasi giorno degli ultimi venticinque anni in qualsiasi luogo dell'Italia. Poco conta che sia stata vista ieri in tarda mattinata del giorno di grazia ventiquattro di ottobre duemiladiciannove davanti al bar Canasta, al centro di Spoleto, provincia di Perugia. E poco importa che si sia in campagna elettorale. Gli è che all'uomo che racconta la barzelletta piace proprio raccontarle, il voto è un di più. Ci prova gusto. E infatti poco dopo ne recita una coram populo, una che favoleggia di un suo viaggio in elicottero coi figli a bordo, di una manifestazione sindacale vista dall'alto, di lui che ha l'idea di far abbassare il velivolo per gettare dall'alto un assegno da 10mila euro e far felice almeno uno in quella folla triste, di un suo figlio che propone di lanciarne due da 5mila per farne felici due allo stesso costo, di un altro figlio che suggerisce di farne felice dieci lanciando dieci assegni da mille e del pilota che la chiude così: «Si getti lei così li fa felici tutti». Magari l'ha detta mille volte, ma a noi che la sentiamo per la prima volta e che nemmeno siamo qui per compiacerlo un po' fa ridere.
C'è questa cosa che fa da filo rosso di un quarto di secolo di storia italiana che è il rapporto speciale, ancestrale, pre e postideologico che c'è tra un uomo ricco e potente e pure vecchio e stanco e la gente che lo ammira, magari lo detesta, ma poi si fa quattro risate con lui. E un selfie, semmai. Ecco, in questo giro della regione più verde d'Italia («E chi ama il verde più di me in Italia? Do lavoro a centinaia di giardinieri») se i voti fossero televoti, Berlusconi avrebbe già vinto. Una foto con tutti, con persone che gli ricordano di quando videro il Milan insieme nella tribuna di San Siro, di quando lui si prese un caffè nel loro bar, di quando si conobbero a Spoleto nel corso di una precedente visita, «una con mia moglie, vieni Teresa». Lui, «che un tempo che ero giovane e bello nessuno mi fotografava e ora che sono vecchio e brutto tutti vogliono farsi uno scatto con me», gioca con tutti, alle volte va oltre il galateo istituzionale, e quando accade i membri del suo staff guardano negli occhi i giornalisti nei pressi per assicurarsi che non prendano nota. A una donna che lo abbraccia dice: «Non siamo stati fidanzati, io e lei?». A un uomo panciuto chiede se è incinto, a un giovane suggerisce di tagliarsi la barba, a un altro chiede dove abbia comprato quell'orologio, a una donna che gli porge un libro assicura che lo leggerà («leggo tutto, io»), a un'altra che ha portato una foto di loro due in un bar, a guardarla si direbbe di una ventina di anni fa, propone di fare una foto con loro e la foto, una adorazione al quadrato.
Ogni volta una festa, un evento nazionalpopolare, un matrimonio di paese, una cresima, una laurea da centodieci e lode. Con la polizia e le sue guardie del corpo che provano ad arginare quella turba e lui che invece la cerca, beato. Dio, patria, famiglia e un cellulare per scattare.
Chi lo sa come chiamare questa alchimia totalmente apolitica tra un vecchio signore in età da plaid e gente mai vista, e in fondo nemmeno importa.
È il magico mondo di Silvio, il fantasista che gioca bene solo se si diverte. E fa niente il risultato. Un lusso che può permettersi solo l'uomo più vincente della politica italiana della Seconda e Terza Repubblica. E non è una barzelletta.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.