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In quel cavo "indistruttibile" c'è la causa del disastro

Il sopralluogo del super consulente. Ipotesi corpo estraneo e "scarrocciamento". Leitner: "Noi parte civile"

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Il bandolo della fune: la corsa del destino non si inverte, ma bisogna capire perché quel cavo si è spezzato. Oltre al dolore, oltre al freno dell'orrore, manomesso volontariamente, la vita di 14 persone avrebbe potuto restare appesa a un altro filo: quello del cavo traente che, invece, si è sfilacciato, logorato, superando il punto di rottura. Questi cavi in acciaio, a trefoli intrecciati, sono ritenuti, pur nei loro pochi centimetri di diametro, «indistruttibili», si affrettano a ripetere gli impiantisti. Resistono anche se rovinati per metà, «come un aereo può viaggiare con un solo motore e come prevede la nozione tecnica di ridondanza». Sono tarati per reggere cinque volte il peso dell'impianto per cui sono pensati e a capienza piena, nemmeno ridotta come in quella maledetta domenica scorsa. Nessun fenomeno meteo avverso, temporale, ghiaccio o fulmine può scalfirli, dato che sono pensati per lo sci e l'inverno. Eppure quella fune non ha retto. «I punti deboli sono nell'aggancio alla cabina oppure a monte e valle, quando si arrotolano sulle pulegge». Ed è qui, in particolare nella stazione di monte, dove è accaduto l'incidente, che qualcosa potrebbe aver fatto inceppare il meccanismo: «Un corpo estraneo o la stessa fune che potrebbe aver scarrocciato andando perfino ad auto lesionarsi ad ogni giro», ripete un altro tecnico. Come un girone dantesco.

Ieri pomeriggio intanto, Giorgio Chiandussi, docente di Ingegneria meccanica e aerospaziale al Politecnico di Torino, ha iniziato, su incarico della Procura, la perizia sulle due cabine, quella distrutta e quella sospesa verso valle. «Da questo esame - ha spiegato il capitano Luca Geminale, comandante della Compagnia dei carabinieri di Stresa - ci aspettiamo elementi fondamentali». L'impianto del Mottarone, così come l'intero comparto degli esercenti funiviari piemontesi era tornato da pochi mesi in seno ad Anef associazione nazionale esercenti funiviari che rappresenta il 90% degli impianti italiani. Le regole però valgono per tutti e per voce del presidente Valeria Ghezzi, Anef ha già bollato come un gesto pari a un attentato la deliberata manomissione dei freni attraverso i blocchi del «forchettone». La Leitner, il colosso mondiale di Vipiteno che aveva effettuato dei controlli recentemente, ha deciso di dichiararsi parte civile nel procedimento: uno degli indagati è un suo collaboratore. Tanto più per questo bisogna ristabilire i valori in campo: «Siamo a completa disposizione e da 75 anni abbiamo fatto della sicurezza dei trasporti la nostra missione - ha fatto sapere in una nota il presidente Anton Seeber - La tempestività è la nostra vocazione e a Mottarone eravamo intervenuti sabato 22 (vigilia della tragedia, ndr), su richiesta del gestore». Il problema? «L'usura dell'anello in gomma di un rullo di linea su un pilone - prosegue Seeber -, nulla a che fare con il freno d'emergenza». Quello manomesso apposta per silenziare i problemi dell'impianto.

La fune aveva 23 anni, la sua sostituzione era prevista nel 2029, ma aveva passato ogni esame, dalla revisione generale del 2016 e il check magnetoscopico del 2020, come prevede il nuovo regolamento del 2015 che ha abolito il fine vita per gli impianti, ma ha previsto periodiche costanti manutenzioni.

Se quel mayday, lanciato dalla funivia che continuava a fermarsi - facendo scattare i freni, poi manomessi per non perdere nemmeno un giorno d'esercizio - ora si rivelasse connesso allo stress subito dal cavo traente, alla catastrofe che si poteva evitare si aggiungerebbe la peggiore delle tragedie: quella che si poteva prevedere.

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