«Me ne sono andato nell'ottobre 2009, decidevano tutto loro, era un continuo litigare. Ma neppure io immaginavo che sarebbe andata a finire così. Guardi che ce ne vuole per mandare in rovina una banca in pochi anni. Tanti mi chiedono: tu cosa avresti fatto? Non lo so, ma meglio di questi avrebbe fatto chiunque». Rossano Soldini ad Arezzo è un nome molto noto. La sua azienda calzaturiera, fondata dal padre, c'è dal 1945, duecento dipendenti. Nel 2007 viene nominato consigliere di amministrazione di Banca Etruria, ma dopo due anni, poco dopo l'arrivo alla presidenza di Giuseppe Fornasari (uno degli indagati per il crac) l'imprenditore comunica le sue dimissioni con una lettera al consiglio della banca e poi con mezza pagina comprata sui giornali locali. «Dicevo che ero orgoglioso di essere entrato in Banca Etruria convinto di poter dare una mano ma avevo capito che era impossibile. Lì comandavano solo il presidente, i vicepresidenti e il direttore generale, un gruppo ristretto di persone. Ma io come amministratore non posso assumermi le responsabilità di decisioni prese da altri. Arrivavano in consiglio con le delibere di 60 pagine, ce le mettevano sul tavolo da firmare: letto e approvato. Senza permetterci di capire cosa dovevamo approvare, senza rispondere alle domande. Chiedevo di verbalizzare tutti i miei interventi ma poi nei verbali li cambiavano. E ogni volta dovevo discutere col segretario del consiglio, difeso dalla presidenza. Non potevo restare lì dentro».Tra le carte che passano in consiglio, anche i famosi affidamenti ai consiglieri stessi. «Mi trovavo a dover approvare un finanziamento a un consigliere, o a un suo famigliare, e quel consigliere era seduto lì davanti a me. Capisce che situazione». La prassi in effetti va avanti alla grande a Banca Etruria, fino a formare quella montagna di 185 milioni di euro di posizioni di fido relative agli stessi amministratori scoperte dagli ispettori. Nell'ottobre 2009, stufo di litigare e approvare prestiti per i colleghi del Cda, Soldini molla tutto e fissa un appuntamento a Bankitalia, per raccontare quel che accadeva là dentro. «Ho parlato con un funzionario, un signore con un ruolo nella vigilanza, non ricordo più il nome. Gli ho spiegato un po' come stavano le cose». Ma non succede niente, la prima ispezione di Bankitalia arriva solo nel 2013. «Mi arrabbio quando vedo che gli azionisti sono trattati come fossero come speculatori di Borsa. Qui le azioni della Banca Etruria le avevano anche le vecchiette. Ho alcuni miei operai che hanno perso i risparmi di una vita con quelle obbligazioni, soldi sudati. I cento milioni stanziati dal governo non bastano di sicuro. Gli azionisti e i detentori di obbligazioni subordinate hanno subito un esproprio, credo non sia mai successo che a pagare la cattiva amministrazione di una banca siano i risparmiatori. Il governo deve cambiare il decreto per prevedere un rimborso integrale, non parziale. E poi mi chiedo: perché hanno stabilito che sulle sofferenze di 8 miliardi se ne possa recuperare solo 1 miliardo e mezzo? La plusvalenza dovrebbe servire a rimborsare chi ha perso i soldi, non è possibile che vada alla nuova Banca Etruria, o magari a qualche grande gruppo interessato a comprarsela ora». Chi sbaglia paga, ha detto Maria Elena Boschi in Aula. Soldini non ha incrociato in banca il padre della ministra, arrivato in Etruria quando lui era già fuori. Ma sulle responsabilità di chi governato l'istituto ha idee molto precise: «Mi auguro che ci sia un'azione di rivalsa sugli amministratori. Se un imprenditore fallisce paga di tasca sua.
Nella banca hanno gestito i soldi degli altri, e se hanno agito male devono pagare col loro patrimonio, come succede a qualunque imprenditore. Ho sentito che nella legge è previsto uno scudo per gli amministratori. Non ci voglio credere, spero sia un errore. Sennò verrebbe naturale chiedersi: chi vogliono salvare?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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