Cecchettin, la Procura fa appello e chiede le aggravanti per Turetta

Il pm: "Riconoscere la crudeltà e lo stalking". Il legale del papà di Giulia: "La decisione ci rincuora"

Cecchettin, la Procura fa appello e chiede le aggravanti per Turetta
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La condanna all'ergastolo di Filippo Turetta per l'omicidio di Giulia Cecchettin senza le aggravanti della crudeltà e dello stalking aveva fatto discutere. Ora la Procura di Venezia cerca di correre ai ripari presentando appello contro la decisione dello scorso 3 dicembre. Una pronuncia che aveva lasciato in molti, soprattutto nei familiari di Giulia, un senso di smarrimento. «Una sentenza simile, con motivazioni simili in un momento storico come quello in cui stiamo vivendo, non solo è pericolosa, ma segna un terribile precedente», aveva scritto sui social la sorella Elena. In effetti si fa fatica a pensare che nell'omicidio della studentessa di Vigonovo, inseguita e colpita con 75 coltellate dal suo ex fidanzato, che aveva nei suoi confronti comportamenti a dir poco ossessivi, non ci sia stata crudeltà e neppure stalking, come ha invece ritenuto la Corte d'Assise di Venezia, non riscontrando una reale paura nei comportamenti di Giulia, che non aveva cambiato abitudini di vita e continuava a frequentare Filippo.

La decisione del pm Andrea Petroni è stata accolta con favore dall'avvocato Stefano Tigani: «Ci rincuora il fatto che la Procura abbia impugnato la sentenza, perché conferma che la richiesta di impugnazione del nostro collegio difensivo in difesa della famiglia Cecchettin era fondata». Il loro appello, che andrà a rinforzare quello della Procura, è atteso a giorni, entro il 27 maggio, quando scadranno i termini. E anche se nella sostanza un eventuale riconoscimento delle aggravanti in secondo grado non cambierebbe molto, dal momento che Turetta è stato già condannato al carcere a vita, sarebbe un segnale importante per la lotta ai femminicidi. I giudici di appello, dunque, dovranno rivalutare il caso alla luce delle osservazioni della Procura. Secondo l'accusa, il gran numero di pugnalate inferte nel giro di 20 minuti alla vittima avrebbe prolungato la sua agonia. Il reato di stalking sarebbe invece cristallizzato dalle migliaia di messaggi che Turetta inoltrava alla giovane, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e dall'abitudine che aveva di farsi trovare nei posti che lei frequentava da sola. L'unica «colpa» di Giulia era quella di non voler tornare con lui. Il comportamento persecutorio del ragazzo, che voleva controllare ogni aspetto della sua vita, aveva provocato in lei ansia, stress e malessere psicofisico. A completare il quadro si sono poi i ricatti emotivi che Turetta era solito fare alla ragazza, minacciando di farsi male nel caso lei non fosse tornata sui suoi passi.

Tutti comportamenti che per la Procura danno pieno titolo al riconoscimento dell'aggravante dello stalking, attività al culmine della quale Turetta ha ucciso Giulia con 75 coltellate. Una modalità, però, che per i giudici non configura la crudeltà. Era solo «conseguenza dell'inesperienza e della inabilità».

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