Censura sul martirio del sacerdote infoibato

Dopo tanti ritardi il Comune poserà la targa, ma copre le responsabilità dei titini

Censura sul martirio del sacerdote infoibato
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Un martire cristiano, un martire italiano oltraggiato da un silenzio che sembra non voler finire. Don Angelo Tarticchio 80 anni fa fu torturato orrendamente e infoibato dai partigiani titini. Ma la sinistra, che regge il Comune di Milano, sembra non volerlo dire. Così, il martirio di don Angelo dopo otto decenni è diventato la storia infinita e straziante della targa che dovrebbe ricordarlo.

Vittima di un crimine fra i più terribili in una storia che di orrori ne ha visti tanti, don Angelo era nato a Gallesano d'Istria ed era parroco a Villa di Rovigno il 16 settembre '43, quando una formazione di Tito lo prelevò insieme a trenta parrocchiani e tra percosse e bestemmie lo rinchiuse in un castello a Pisino d'Istria, dove iniziò un autentico calvario.

Un mese dopo i pompieri di Pola recuperarono la salma. Il nipote, Piero Tarticchio, lo ha raccontato così in una delle sue testimonianze: «Era completamente nudo, con il corpo martoriato, i genitali tagliati e conficcati in gola. Sulla testa portava ancora una corona di filo di ferro spinato, in spregio alla sua figura di ministro della fede». Come altri religiosi, fu trucidato «in odium fidei», in quanto rappresentante della Chiesa e la sua figura - come la giovane Norma Cossetto - è un simbolo per gli esuli e per le famiglie degli infoibati. Eppure, per Palazzo Marino, pare che non si debba dire, chiaramente e fino in fondo, chi furono gli infoibatori. La proposta del comitato promotore è stata respinta, come conferma il presidente Romano Cramer. Il Comune ha proposto tre formule diverse, tutte ambigue: vuole scrivere che don Angelo fu «vittima dell'eccidio delle foibe», o che fu «infoibato a Rovigno, paese sotto controllo jugoslavo per l'annessione dell'Istria alla Jugoslavia», o ancora che fu «infoibato nel 1943, mentre Rovigno era sotto il controllo dei partigiani jugoslavi che volevano imporre l'annessione dell'Istria alla Jugoslavia». Il gabinetto del sindaco ha spiegato nero su bianco di avere «una preferenza per scritte brevi e asciutte», «che sono più efficaci ed evitano inutili polemiche».

In realtà la formula proposta dal comitato era più asciutta, sintetica e inoppugnabile: «Don Angelo Tarticchio, sacerdote istriano, infoibato nel 1943, dai partigiani slavocomunisti di Tito». Niente. Cramer ha provato a far presente che il testo avrebbe rispecchiato «in modo inoppugnabile i fatti tragici vissuti allora da italiani», e ha citato il presidente Sergio Mattarella, ma non c'è stato niente da fare. Nessuno sa bene quale delle tre sarà la scritta ma salvo sorprese non sarà quella che voleva l'associazione. E non è un caso. Non è un inedito. Due anni fa il Municipio 2, guidato allora da un presidente leghista Samuele Piscina, prese l'iniziativa e, avendo competenza sulle aree verdi, fece collocare una targa. Ne nacque un caso. Il pretesto fu una questione di competenze amministrative, o il mancato passaggio presso il comitato che dovrebbe sovrintendere alla memoria a Milano, ma il problema in realtà era di sostanza. Piscina racconta che gli fu spiegato in sostanza che la formula «infoibato dai partigiani comunisti titini» non era gradita e lui la fece coprire con un'altra scritta - da anonimi poi a sua volta rimossa: «Sacerdote infoibato dalle milizie jugoslave di Tito». Fu allora che il Comune avocò tutto: prese l'impegno di collocare la targa ma imponendo ancora la sua versione, che sarà dunque ambigua e omissiva. Anche un monumento alle foibe è stato infine realizzato a Milano, ma dopo resistenze, ritardi e fatiche. «Da un lato sono felice che si stia risolvendo una questione insensata - osserva Piscina - ma ora mi spiego perché per anni è mancato il riconoscimento ufficiale della nostra targa.

Il problema è la mistificazione di una storia che invece è incontestabile. La sinistra cerca sempre di nascondere una parte della realtà, una parte di responsabilità in quello che è stato il dramma dell'esodo e delle foibe in un pezzo dell'Italia di allora».

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