A l massimo 100mila uomini con appoggio aereo e tre direttrici d'attacco dalla Turchia, Giordania e Nord dell'Irak potrebbero spazzare via le bandiere nere in due mesi. L'intervento via terra con gli scarponi sul terreno non è impossibile, ma costerebbe migliaia di morti da ambo le parti.Queste le stime di ex alti ufficiali interpellati da il Giornale, che conoscono il territorio e la guerra. «Settanta-ottantamila uomini possono bastare per un intervento di terra - spiega l'ex generale degli alpini Carlo Cabigiosu, che ha operato in Irak - Poi bisogna tenere pronta una robusta riserva di altri 20-30mila soldati. Il problema è che la guerra sarebbe asimmetrica con i seguaci delle bandiere nere pronti a morire per Allah e noi che al contrario preserviamo la vita dei nostri soldati».Per l'ex generale Carlo Jean potrebbero bastare «anche 40mila uomini, due divisioni pesanti, perché gli effettivi del Califfato non sono così numerosi». Gli esperti concordano che l'attacco dovrebbe essere concentrico e partire da più fronti. In una prima fase bisognerebbe tagliare le vie di rifornimento e sezionare lo Stato islamico. Per poi puntare come obiettivi finali su Raqqa, la capitale siriana del Califfo e Mosul, la roccaforte irachena.«Le forze di terra dovrebbero muoversi contemporaneamente dalla Giordania, la Turchia ed il Kurdistan nel Nord dell'Irak» sostiene una fonte militare in servizio fino a poco tempo fa. Il tassello turco, che condivide la frontiera più lunga con la Siria e spesso ha fatto il doppio gioco è cruciale. «Penso che i turchi, dopo aver subito a loro volta attacchi terroristici pesanti, non potrebbero dire di no almeno all'appoggio logistico, il passaggio delle truppe e l'utilizzo di basi aeree come quella Nato di Incirlik già usata per i raid contro l'Isis» sottolinea Cabigiosu. L'ex generale dell'aviazione, Leonardo Tricarico, fa presente che «un ruolo chiave deve essere giocato dall'intelligence per generare obiettivi da colpire. Già adesso non ce ne sono più». Le truppe terrestri dovrebbero essere composte da una forza di manovra con artiglieria e carri armati, ma soprattutto da unità molto qualificate come i corpi speciali ed i reparti per l'acquisizione obiettivi, che dirigano il fuoco da terra e dal cielo. «Se fosse coinvolta la Nato c'è bisogno di un mese minimo per la panificazione ed un altro mese per dislocare le truppe sul terreno, a patto che si trovi l'accordo politico - spiega un ex generale - Poi basterebbero due mesi di operazioni per evitare il più possibile i danni collaterali» ovvero perdite civili. Questo in teoria «perché la guerriglia urbana in grandi città di 2 milioni di abitanti come Mosul sarebbe imprevedibile». I seguaci del Califfo sono pronti ad immolarsi e usano la popolazione e le loro stesse famiglie come scudi umani. «Ma anche fra le nostre truppe andrebbe messo nel conto un alto numero di perdite, non meno di migliaia» spiega un ex generale. Il paragone è con le stime che erano state elaborate per un intervento di terra in Kosovo, ben più piccolo del Califfato, se i serbi non si fossero ritirati. Il primo giorno avremmo perso 2mila uomini e poi i caduti sarebbero stati del 2-3% su 100mila soldati. E ieri il presidente americano, Barack Obama, ha bocciato l'intervento di terra: «Non è solo il mio punto di vista ma anche quello dei più stretti consiglieri militari e civili che sarebbe un errore».In pratica ci caliamo le brache, ma forse sarebbe possibile estirpare il Califfato almeno dalla Libia, annidato a Sirte, con un intervento limitato.
L'ex generale Cabigiosu e l'alto ufficiale che ha preferito l'anonimato concordano: «Azioni mirate dei corpi speciali comprese veloci operazioni anfibie sarebbero sufficienti. Poi le forze potrebbero rimanere di fronte alle coste libiche a bordo delle navi della Marina intervenendo in appoggio alle milizie scelte come alleate per finire il lavoro e spazzare via le bandiere nere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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