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Il centrodestra cerca l'intesa pure sull'Europa. E Berlusconi: "I nuovi populisti siamo noi"

Meloni alla kermesse sovranista: "I veri antieuropeisti? Banchieri e tecnocrati"

Il centrodestra cerca l'intesa pure sull'Europa. E Berlusconi: "I nuovi populisti siamo noi"

Roma - Il centrodestra cerca l'eurointesa. Berlusconi, in un'intervista a La Verità, sdogana il populismo, seppur moderato e dal volto umano: «I nuovi populisti siamo noi - dice - Noi rappresentiamo il sentire del popolo, che in democrazia è fondamentale. Cosa che non fa la sinistra, affetta da snobismo intellettuale». Musica per le orecchie dei cosiddetti sovranisti, riuniti da Giorgia Meloni all'auditorium dell'Angelicum di Roma. Il Cavaliere apre ai «populisti»? I «populisti» rispondono con la mano tesa, annacquando il loro antieuropeismo. La Meloni è chiara: «Abbiamo la nostra idea di Europa, non siamo antieuropeisti. I veri nemici dell'Europa sono burocrati, tecnocrati, banchieri. Basta coi misuratori di zucchine, riconsegnamo la sovranità ai popoli». Insomma, non si parla di Italexit ma di «confederazione di nazioni libere e sovrane». Sul tema sciorina il suo programma in sette punti che comprendono «l'euro, la difesa del nostro interesse nazionale, la difesa dei nostri confini, la difesa dei nostri prodotti, dalla nostra identità».

Più o meno gli stessi concetti espressi dal leader di Forza Italia che non fa sconti a Bruxelles: «L'Europa dei burocrati non è quella che ha sognato la mia generazione; un'Europa capace di un'unica politica estera e di difesa, basata sulla sovranità popolare; un'Europa delle opportunità, non dei vincoli. Senza un cambio di passo è destinata a fallire». E sia Giorgia Meloni sia Fabio Rampelli rispondono: «Vogliamo ricostruire una nuova Europa; vanno ridiscussi tutti i trattati: Lisbona, Basilea, Dublino, la direttiva Bolkestein». In pratica si cerca la quadra anche su un tema così divisivo come il rapporto con le istituzioni internazionali e il lepenismo in generale. Berlusconi non condanna la Le Pen perché «demonizzarla non ha senso; però è chiaro che la sua cultura, i suoi progetti, il suo linguaggio e la sua prospettiva non sono le nostre».

Al convegno meloniano, il lepenismo viene smussato anche dal leghista Giancarlo Giorgetti, invitato assieme agli azzurri Toti e Tremonti anche per dare l'idea che il centrodestra non è dissolto. Infatti viene confermata una telefonata tra i leader di Fi e Lega. Il braccio destro di Salvini spiega: «Certo che siamo europei ma anche italiani e lombardi. Populisti? Sì, perché ascoltiamo il popolo e non siamo chiusi in una fortezza». Pure Toti è in linea: «Il sogno europeo non lo vorrei abbandonare ma temo che si sia già perso da solo e che sia diventato un incubo. Cambiamo le regole, cambiamo i trattati, anche alzando la voce».

Non antieuropeisti ma eurocritici. Sono tanti all'Angelicum, infiammato da Marcello Veneziani, Vittorio Sgarbi, Giulio Tremonti, Gian Micalessin, Gaetano Quagliariello, Alfredo Mantovano, Gennaro Sangiuliano e Alberto Bagnai: tutti a dire che o si cambia o si muore. Si cambi, quindi. E su questo il centrodestra pare ricompattarsi come sottolinea anche Paolo Romani che apre alla proposta salviniana di una «federazione» e scansa il problema sulla leadership: «È prematuro. L'importante è stare assieme». Ma sul tema, e sulle aspirazioni del leader del Carroccio, dice qualcosa lo stesso Cavaliere: «Con Salvini ho un ottimo rapporto. È battagliero e tenace, può svolgere un ruolo non secondario nella politica italiana». Ma c'è un «ma»: «Il tema di chi guida la coalizione è l'ultimo in ordine di importanza.

E il leader di una coalizione dev'essere in grado di fare sintesi delle esigenze di tutti, e soprattutto essere attrattivo verso gli incerti e gli astensionisti».

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