Coronavirus

"C'era un piano", "Lo tiri fuori". Il terremoto tra Zaia e Crisanti

Non si placa la polemica tra il governatore e il virologo. Nuovi scontri sul "metodo Veneto". Crisanti: "Basta, rispetto per i morti"

"C'era un piano", "Lo tiri fuori". Il terremoto tra Zaia e Crisanti

Si diceva una volta: "Se son rose, fioriranno". Andrea Crisanti, virologo ormai di fama, e Luca Zaia, governatore del Veneto, non si conoscevano prima dell'epidemia. Il coronavirus li ha fatti incontrare, le rose sono sbocciate, poi però sono arrivate pure le spine. E come ogni matrimonio nato un po' per caso, ora rischia di espodere. Trascinando nel vortice dei litigi pure la magia del "Modello Veneto".

Tutto è iniziato, lo saprete, la scorsa settimana con un'intervista a Repubblica in cui il governatore rivendicava il ruolo del proprio staff nell'ideazione della strategia sui tamponi e sull'isolamento fiduciario degli infetti. Crisanti non l'ha presa bene, visto che sostiene di essere lui il padre del modello, e lo ha fatto sapere in giro. Una tensione che inizialmente ribolliva sotterranea, come rivelato per primo dal Giornale.it, e poi è esplosa su tutti i giornali con interviste che ormai si susseguono giorno dopo giorno. "Se insistono, finisce con loro non ci parlo più", ci aveva spiegato il professore qualche settimana fa, quando ancora cercava di "lasciare fuori le polemiche" per evitare che a rimetterci alla fine fossero i cittadini. Qualcosa però è andato storto. E la lite è esplosa in tutta la sua virulenza.

L'ultima puntata è andata in onda stamattina sulle pagine dei quotidiani. "Lui è uno scienziato di altissimo livello, gli abbiamo affidato il più grande laboratorio italiano di microbiologia. Si occupa della fase di analisi", ha detto il governatore al Fatto. Certo Zaia riconosce i meriti di Crisanti, come l'aver suggerito di comprare una macchina per processare i tamponi (a 250mila euro) o la richiesta di fare il secondo giro di test a Vo' (150mila euro). Ma sottolinea anche che "ognuno deve fare il suo mestiere" e che se c'è qualcuno da ringraziare, quella è la "dottoressa Russo, capo della prevenzione: non fa analisi, ma ha ideato una strategia depositata l'11 febbraio".

La versione di Crisanti è diversa, ed è ormai cosa nota. Il virologo non solo sostiene di aver suggerito lui il "Metodo Veneto", ma ricorda che quando a gennaio iniziò a sottoporre a tampone alcuni asintomatici "il direttore generale della sanità del Veneto, Domenico Mantoan, mi ha bloccato". "Mi ha intimato in una lettera di spiegare sulla base di quali indicazioni ministeriali, o internazionali, si sia ipotizzata tale scelta di sanità pubblica - ha raccontato - minacciando di denunciarmi per danno erariale". La replica di Zaia è secca: "Mantoan gli ha scritto che quelle non erano le linee guida nazionali. Lui ha risposto con una lettera, in cui ritrattava le sue richieste. Crisanti questo non lo dice mai". Uno a uno, palla al centro.

Oggi il virologo cerca di smorzare i toni. Dice che cercare di "accaparrarsi il merito" è "nella natura umana", ma che sarebbe meglio smetterla per "rispetto per i malati e per i morti". Sentito dall'Adnkronos, non ha mancato però di infilzare l'ultima stoccata: "Piuttosto che chiedere a me, chiedete a loro questi piani - ha detto - Se i piani sono protocollati, se sono autentici, chiedete a loro. Io non voglio attizzare polemiche sulle sofferenze e sui morti che ci sono stati". Insomma: "Penso che gli italiani abbiano visto sotto i loro occhi lo svolgersi di questa epidemia e abbiano visto chi ha fatto cosa. Hanno visto che cosa ho detto e su cosa mi sono battuto fin dall'inizio".

Un'altra puntata è finita, ma la serie sembra essere ancora lunga.

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