Cernobbio «bulgaro»: il 76% per il Sì alle riforme

Il paradosso: solo l'1% ritiene siano una priorità

Paolo Bracalini

nostro inviato a Cernobbio (Como)

Se per approvare una legge ci mettiamo mesi o anni perdiamo delle opportunità di crescere, la riforma offre uno strumento per ridurre queste lungaggini», votando Sì «avremo sicuramente un'Italia più semplice anche per aiutare le imprese e il nostro Paese a essere più competitivo». Applausi scroscianti dalla selezionatissima platea di top manager e banchieri riuniti a Villa d'Este, un'audience molto più renziana di quanto non siano le feste dello stesso Pd. L'intervento del ministro Boschi sulle virtù della riforma costituzionale e anche dell'Italicum («garantisce la stabilità», e grazie al ballottaggio evita il ricorso continuo alle urne come in Spagna) trova al Forum Ambrosetti la resistenza di un coltello nel burro. Il televoto dei partecipanti alla domanda sul referendum costituzionale dà un risultato quasi plebiscitario: il 75,9% voterebbe Sì, solo il 15,2% boccia le riforme, pochi gli incerti (7%). Anche se alla domanda successiva («Quali sono le priorità per la competitività dell'Italia?»), la risposta va in altra direzione, la riduzione delle tasse stravince, poi il taglio della spesa pubblica, mentre la riforma delle istituzioni è una priorità solo per l'1,2%. Discrepanza fatta notare dall'unico rappresentante dell'opposizione parlamentare ospite a Cernobbio, il capogruppo azzurro Renato Brunetta, che twitta: «Mondo finanza vota sì a riforme di Renzi, ma a domanda successiva dice che non servono a niente. Confusione mentale». Il clima di consenso «coreano», come viene definito anche da osservatori filogovernativi, si materializza anche in uno studio dell'economista (ed ex senatore Pd) Nicola Rossi che certifica «effetti positivi già nel breve periodo» per imprese e cittadini dal momento in cui entrerà in vigore la riforma costituzionale». L'impatto poi derivante dalla riforma Boschi sommata alle altre tre (lavoro, banche e Pa) sarebbe, secondo Rossi, addirittura del 3,9% sui redditi e del 3,2% sui consumi nell'arco di cinque anni. Un nuovo miracolo italiano, Ottimismo che viene però smontato, con una certa perfidia, da Mario Monti. L'ex premier prende la parola e fa a pezzi l'ottimismo governativo, suscitando: «Se la performance economica di un Paese dipendesse dalla regolazione istituzionale, allora il nostro modello dovrebbe essere la Grecia», che ha una sola Camera e quindi un processo legislativo più semplice, ma non certo una crescita economica invidiabile. Risatine divertite in sala, tanto che Brunetta sente di dover ringraziare gli organizzatori, perché dopo quella stoccata al governo «mi avete fatto fare pace con il professor Monti». Anche Maroni fa parte della minoranza refrattaria: «La riforma costituzionale «cancella il sistema delle autonomie locali e ci riporta agli anni '70».

Ma sono le uniche note stonate in un concerto dove domina l'armonia, cui si unisce anche il presidente di Confindustria (favorevole al Sì), che sul Pil trova che «la direzione è giusta ma l'accelerazione è bassa», e sui dati deludenti della crescita non fa troppi drammi («non è una novità, sono pochi decimali, nel bene e nel male non cambia la sostanza della questione»).

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