Cronache

"Che ne sarà di noi?". La rabbia degli operai che licenziano il premier

Oggi lo sciopero unitario. Nel mirino oltre a Giuseppi anche il governatore Emiliano

"Che ne sarà di noi?". La rabbia degli operai che licenziano il premier

Taranto - In queste ore, mentre le lancette della crisi sembrano condurre inesorabilmente a un disimpegno di ArcelorMittal, la rabbia si mescola allo sconforto. Ma non solo. Perché l'impressione è che adesso, dopo una girandola di proclami e dichiarazioni, tra i lavoratori fermi dinanzi ai cancelli della fabbrica di Taranto, prevalgano scetticismo e rassegnazione, come se ormai il destino di quello che un tempo era un colosso dell'acciaio fosse inevitabilmente segnato. Al punto che il sindaco, Rinaldo Melucci, non usa mezzi termini e ammette: «Pensiamo già al dopo ArcelorMittal, per il bene di Taranto e dell'Italia». Insomma, da queste parti il futuro è adesso. E non c'è un minuto da perdere.

«Cosa ne sarà di noi?», chiedono e si chiedono gli operai esasperati. «Non si può giocare sulla nostra pelle», dicono i lavoratori di Taranto, ancora in attesa di capire se sia rimasto uno spiraglio per sperare. In ogni caso la mobilitazione è totale e i sindacati ritrovano compattezza. E dopo lo sciopero della Fim, decidono di incrociare le braccia anche Fiom e Uilm. L'astensione dal lavoro per 24 ore scatterà alle 7 di oggi e riguarderà non soltanto Taranto, ma tutti gli stabilimenti del gruppo. Secondo le organizzazioni sindacali, ArcelorMittal «ha posto condizioni provocatorie e inaccettabili e le più gravi riguardano la modifica del piano ambientale, il ridimensionamento produttivo a quattro milioni di tonnellate e la richiesta di licenziamento di cinquemila lavoratori, oltre alla messa in discussione del ritorno al lavoro dei duemila in amministrazione straordinaria».

Le critiche sono rivolte ai vertici dello stabilimento e alla politica. Fiom, Fim e Uilm chiedono infatti «all'azienda l'immediato ritiro della procedura e al governo di non concedere nessun alibi alla stessa per disimpegnarsi». Il riferimento è evidentemente alla cancellazione dello scudo penale dal decreto Salva imprese, una svolta fortemente voluta da un drappello di parlamentari (tra cui l'ex ministro per il Sud Barbara Lezzi) del Movimento Cinque Stelle che da queste parti alle ultime elezioni politiche ha fatto il pieno di consensi sfiorando il 50% dei consensi. Altri tempi. Perché lo scenario, in attesa delle regionali che si terranno l'anno prossimo, è decisamente cambiato. Tanto che il governatore di centrosinistra Michele Emiliano, noto come assiduo corteggiatore dei pentastellati, a pochi mesi dalla corsa per la riconferma dice chiaro e tondo di poter tranquillamente fare a meno di loro.

Intanto, anche gli operai dell'indotto sono pronti alla mobilitazione.

I segretari dei sindacati che li rappresentano, (Filmcams Cgil, Fisascat Cisl e Fist Cisl, Uiltrasporti e Uiltucs Uil) dichiarano che «senza una risposta esaustiva, unitariamente alle confederazioni di Cgil, Cisl e Uil, saremo pronti a tutte le iniziative fino al blocco a oltranza delle attività lavorative nei propri settori».

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